MARILENA MONTI
Ma in mezzo all'asfalto c'era un fiore...
Io non dovevo fare
la cantante.
Studiavo da biologa.
Poi quando mi mancava solo la tesi ho deciso di non laurearmi più.
Non volevo cadere un giorno nella tentazione di lasciare la musica per
un altro mestiere. È troppo forte questo mio impulso a raccontare
per essere ingabbiato dentro un titolo di studio.
Credo
che ciascuno di noi abbia una funzione nella vita. La mia è questa:
raccontare, raccontare, raccontare. Sento moltissimo gli incontri,
gli accadimenti, le cose, la natura, questa terra ed ho l'istanza immediata
di fare vivere queste emozioni con le parole, per descriverle agli altri.
Una esigenza di rappresentazione che esprimo con le canzoni.
Nella mia musica c'è la presenza di mia nonna. Lei non cantava,
però mi ha raccontato tantissime storie di Sicilia. Mi ha insegnato
tutti i proverbi. Si esprimeva più con i proverbi che con i discorsi
lunghi e complessi e questo suo esprimersi così immediato è
oggi la mia radice di ulivo.
La nonna mi ha trasferito questa linfa e questa connessione profonda con
una sicilianità austera e felice, gioiosa e in qualche modo nobile,
nel senso che ha il sentimento della vita guadagnato a fatica, sofferto,
valutato nella sua grandezza.
Mi ricordo questa nonna che discuteva mezz'ora con una mosca dietro il
vetro, insistendo perché uscisse, perché non voleva vedersi
costretta ad ucciderla.
lo non sono una cantante, sono un cantastorie. Chi fa il cantante è uno che cura e studia la voce, lavora su questo
mezzo come fa il violinista col suo violino. Io mi definisco un saltimbanco,
nel senso che attraverso tutte le varie possibilità espressive.
Faccio rivivere storie vecchie e nuove di quest'isola attraverso una voce
e una chitarra.
Cerco nelle piazze un rapporto intenso con la gente, un rapporto capace
di creare un'atmosfera magica di ricerca, di voglia di affondare le radici
nel tempo.
La piazza non è lo stadio e nemmeno un teatro. Nelle piazze c'è
una dimensione umana del silenzio, voci lontane, le luci delle case. Si
paò partecipare di più un'emozione.
Nelle mie canzoni il tema dell'isola è centrale perché l'isola
la identifico con me stessa. Sono una siciliana che ogni giorno deve lottare
in quanto donna e in quanto siciliana.
Proprio come la Sicilia che, sempre guardata con sospetto, deve lottare
per una propria libertà di popolo. Ogni giorno devo combattere
per l'affermazione dei miei diritti, dei miei spazi.
Palermo è una città assediata da polizia e carabinieri,
per questo si sente di più il sentimento dell'oppressione e il
desiderio del riscatto. Poi in fondo è sempre questo il messaggio
di tutto quello che scrivo: riscatto.
Noi siciliani siamo i soli capaci di raccontarci
al mondo.
Gli altri ci raccontano per interesse, ci vendono per denaro, ci rappresentano
diversi da come siamo.
Gli invasori fanno soldi sulle storie di sangue della Sicilia e ci raccontano
tragici. La tragedia si piazza meglio, si vende di più al cinema,
alle case editrici, ai giornali.
Noi siamo invece drammatici. E il dramma è diverso dalla tragedia.
È più intimo, meno plateale della tragedia con cui ci vendono.
Il siciliano delle mie canzoni ha dentro questo dramma.
Una drammaticità che chiaramente può sconfinare in momenti
di sottile autoironia, ma è prevalentemente dramma.
La donna vive con maggiore intensità questa situazione.
Ha vissuto più visceralmente all'interno della casa ed ha avuto
tempo di mettere a punto i propri linguaggi.
L'uomo proiettato all'esterno ha dovuto invece più spesso mediare
i propri drammi. La donna è stata più a contatto con se
stessa e ha maturato la propria identità che è fortemente
drammatica ma anche molto ironica.
La Sicilia è la terra del silenzio.
Io ho sempre in testa un'immagine che mi ha colpito moltissimo. Un pomeriggio
di trenta anni fa a Poggioreale.
Il terremoto aveva distrutto tutto. La miseria sovrastava ogni cosa. La
disperazione della gente era scolpita nei volti di tutti.
Ma in mezzo all'asfalto c'era
un fiore, una margherita gialla che aveva
sfondato la pietra per annunciare la primavera.
Era venuta fuori da una crepa con una grande forza.
La natura coi suoi cicli normali aveva risposto alla sua stessa violenza,
dal silenzio era venuto fuori l'urlo.
Questa terra ha delle cose da dire che esprime mormorando.
Io credo che prima o poi arriverà l'urlo che è coro e poi
armonia.
Per levare alto questo grido bisogna guardare al passato, prendere forza
dai nostri padri, dai nostri nonni. Nel passato c'è l'energia.
Ma anche il rimpianto di sapori umani che si sono sbiaditi. Ed anche rimorso
perché non si è fatto abbastanza per questa terra.
Tutti da queste parti abbiamo il nostro peccato di omertà. Guardandoci
indietro, rileggendo la nostra storia dobbiamo trovare l'energia per cancellare
queste soffili connivenze.
La Sicilia è una terra che stende tappeti
agli invasori. Questa è la cosa che rimprovero di più
ai miei conterranei.
Qui l'invasore viene sempre accolto a braccia aperte ed è quasi
sempre uno che ci saccheggerà, ci ruberà. È uno che
ci racconterà male falsando le nostre intenzioni sia le negative
che le positive. Un altro non ci può raccontare
come siamo, dobbiamo imparare noi stessi a farlo.
Dirigo laboratori di scrittura nelle scuole proprio perché i ragazzi
si abituino a raccontare se stessi e ad entrare in contatto con le proprie
parole dell'anima.
Più parole si sanno e più si è liberi.
Non dobbiamo aprire la televisione per sapere chi siamo.
Sono tornata a Santa Margherita Belice per un concérto ed ho visto
ristrutturata la casa delle vacanze di Tomasi di Lampedusa. E mi chiedevo
se questa fosse ancora la terra del Gattopardo. Ritengo che per molti
versi lo sia.
Nella rassegnazione, certamente. Iene e sciacalli si sono moltiplicati.
Gli invasori di oggi sono i giornalisti. Ma anche gli scrittori.
La Sicilia è una terra continuamente saccheggiata
da chi continua a scrivere libri sulla Sicilia. Di siciliani che scrivono
la Sicilia ce ne sono in buona e in cattiva fede e questi ultimi sono
i più cannibali di tutti.
Il fascino della Sicilia è incredibile, noi non riusciamo neanche
ad immaginare quanto fascino possa esercitare su chi non è siciliano.
Questo è un luogo oscuro, è un luogo pieno di magia, è
un luogo dove si può perdere la ragione.
Se uno che fa lo scrittore o il giornalista punta la sua attenzione sulla
Sicilia ad un certo punto si perde in un labirinto inquietante. Ed io
capisco che possa subirne il fascino e che possa desiderare di parlarne,
di scrivere, di volerne sapere di più. Però quando si pensa
a sfruttare la Sicilia coi film e coi libri perché tanto il sangue
vende sempre, allora non ci sto.
Avevo scritto un racconto su un fatto drammatico
avvenuto a Palermo, e un editore di Milano me l'ha respinto dicendomi
"lei non ha inchiostro rosso. Deve scriverlo con più sangue".
Mi ha ferita a morte.
Ecco, questo episodio offre la misura esatta di quanto il nostro sangue
diventi moneta sonante per costoro. Farei un Vespro Siciliano contro
questi nuovi invasori.
Di questa terra mi piace la luce. La profondità di campo.
La possibilità di vedere oltre ciò che è consentito.
Quando guardo l'orizzonte da qualsiasi luogo della Sicilia, che sia una
collina, che sia un piano alto, che sia una pianora, mi accorgo di scorgere
le isole e oltre le isole altri mondi.
Il siciliano ha una straordinaria
capacità di percezione sensoriale che coincide con una luce d'intelligenza
abbagliante. E questo è un dono in
più. È un rapporto di amore con la terra viscerale, fortissimo,
irrazionale, che procura emozioni incontenibili. Questa è una signora
isola. Io la immagino con la faccia di mia nonna. È una terra generosissima.
Penso a certi nostri paesaggi di spine e rovi bucati all'improvviso da
un fiore.
Per me quel fiore che ho visto in mezzo all'asfalto, fra le case distrutte
del Belice ha molto più valore di certi giardini della Svizzera
dove la noia impera.
Questa è una terra di sorprese. Io dico che
la Sicilia è il "Bignami" del pianeta terra. C'è
tutto.
Io sono stata lo scorso inverno sull'Etna. Di notte a 1800 metri c'erano
i ghiacciai. All'alba a Taormina, era arrivato lo scirocco e c'erano 20
gradi. In un'ora sono passata da un posto dove si poteva sciare ad un
altro dove si poteva fare il bagno. In pochi chilometri ho attraversato
le stagioni, i paesaggi, le emozioni.
In pochi istanti ho bucato il mondo. E ne ho percorso la sua sintesi.
Marilena
Monti |