Il nostro viaggio
Quello che mi accingo a scrivere Ë il racconto del ìviaggioî, il nostro viaggio verso Santiago de Campostella.[giustifica]La partenza Ë avvenuta gi‡ anni or sono, quando dalle ìvieî pi? disparate si Ë fatta presente la voglia di vivere questo cammino.
» successo di accendere la radio alle 4 del mattino e sentir pronunciare quelle parole magiche: ìSantiago de CampostellaîÖ; e poi ancora e ancora, in un continuo richiamo a ìfareî qualcosa che in fondo gi‡ ci appartiene, ma di cui abbiamo perso ogni cognizione.
Io e Claudia, compagni di viaggio, di questo viaggio e di quello pi? lungo che Ë la vita.
Nasce cosÏ, da tante luci segnato, la spinta, líidea. Poi Ë il puro desiderio di conoscere, di sperimentarsi ad andare a fare il resto.
Ognuno con le sue ìresponsabilit‡î e le sue capacit‡Ö
Partiamo allora? Si, ma prepariamoci!
Sono, devono essere poche le cose da portare con se: meno hai, pi? hai diceva un hippy barbuto 20 secoli fa!
Convinco Claudia a ridurre allíessenziale il nostro bagaglio, solo il minimo, il resto deve essere l‡.
Sar‡ cosÏ, sempre.
Adesso permettetemi solo due note tecniche:
il nostro vestiario Ë costituito da due completi da ciclista, maglia antivento, guanti, casco, 3 paia di calze, scarpe da trekking, occhiali e crema solare; nelle borse laterali posteriori delle bici sistemiamo tutti i nostri effetti personali; asciugamani, sapone; e poi ancora pantaloni corti e lunghi, due magliette, poncho antipioggia, saccoletto leggero, kit riparazione bici, compreso smagliacatena, torcia, garze, aspirine.
Le bici sono sistemate da Freebike, dove Dario e TotÚ montano i portapacchi posteriori; non si romper‡ nulla, nemmeno una foratura.
Imballiamo le bici la sera prima di partire, smontando i pedali, manubrio, cambio posteriore e ruota anteriore che sistemiamo a protezione della corona, caliamo la sella e smontiamo pure i portapacchi. Tutto viene avvolto nella plastica con le bolle e rinforzato col cartone.
Allíalba mio padre ci accompagna allíaeroporto per il primo volo che ci porter‡ a Roma con Airone; i tizi del checkin si accorgono che abbiamo due bici (ma va!), due bici a bordo ci costano 100Ä. Che il bravo Marco di Tutankamon ci rimborser‡. La compagnia spagnola Vuelin considera le bici come bagagli e non le fa pagare, in Italia non Ë cosÏ.
Da Roma ripartiamo per arrivare a Bilbao nel tardo pomeriggio; pi? in fretta che possiamo prendiamo le bici ed usciamo dallíaeroporto e subito la Spagna ci offre uno ìspettacoloî: un tizio in carrozzella deve prendere líautobus, questo si abbassa, esce la pedana, lui saleÖve immaginate la stessa scena a Palermo, io no, non ci riesco nemmeno sforzandomi.
Avremo modo di notare che in Spagna vivere con un handicap non Ë di per se un handicap.
Raggiungiamo la stazione dei bus di Bilbao e prendiamo il primo bus per Pamplona dove arriviamo nella notte. La stanchezza Ë tanta, il sonno pure.
Spacchettiamo le bici e rimontiamo tutto: non ci avanza e non ci manca niente: buon segno!
» mezzanotte, le bici sono a posto ma noi no: non sappiamo dove andare, Pamplona Ë grande ma cíË un concerto e non ci sono stanze da nessuna parte, tutti gli alberghi sono pieni; giriamo e rigiriamo, ma non cambia nulla se non che siamo ancora pi? stanchi: io adocchio il parco, ìho il sacco a pelo, posso dormire ovunqueîÖ
Poi ecco che ìil destinoî ci viene in aiuto: chiediamo informazioni su qualche albergo ad una ragazza (Anna), lei si offre di accompagnarci ma il ìsuoî albergue non cíË pi?, líhanno trasferito.
Sono le due e dopo un giorno di volo siamo completamente a terra.
Anna ci chiede timidamente se saremmo disposti a farci ospitare da lei; di risposta la abbracciamo. Passiamo la nostra prima notte spagnola a casa di una ragazza finlandese naturalizzata spagnola che al mattino ci prepara pure la colazione e ci lascia a casa sua per andare a lavorare chiedendoci solo di stare attenti a chiudere bene la porta.
La mattina facciamo tardissimo e iniziamo a camminare col sole gi‡ alto, non abbiamo cartine o guide, vogliamo seguire le frecceÖil problema Ë incocciare la prima: Ë cosÏ che scambiamo líautovia Santiago de Campostella per il sentiero omonimo; con le nostre belle bici ci facciamo un bel tratto di autostrada, fortuna che il primo svincolo non era poi lontano.
Di li a poco ci immettiamo nel cammino, anzi nel ìcaminoî. Questo si presenta sterrato, poi pietroso, poi in pendenza, poi saliamo a piedi (ìma sar‡ tutto cosÏ? ***zo!)
Cominciamo ad incontrare i pellegrini, quelle figure andanti sotto uno zaino diverranno familiari per giorni.
La salita ci porta con fatica al ìPunto del perdonoî, la via Ë un sigle track pieno di insidie e persino poco pedonabile; ci accorgiamo della pesantezza delle bici che con le borse posteriori piene in salita arrampano.
Poco prima di giungere alla vetta un tizio ci viene incontro e ci aiuta a spingere le bici, Ë un volontario del camino. Sulla vetta conosciamo un uomo che ha fatto il camino, poi ha lasciato tutto e ora ìviaggiaî col suo camper aiutando i pellegrini, moderno templare a difesa dei nuovi pellegrini.
Strana gente si incontra nel camino.
Uomini e donne, vecchi e ragazzi.
Ognuno col suo fardello di vita, le sue esperienze, le sue motivazioni. La domanda pi? frequente Ë ì perchÈ lo fai? î
Io non lo so, so che dovevo farlo.
Ora le giustificazioni per averlo fatto sono tante, nel senso che tante cose ha portato fuori il camino, cose nascoste dentro, capacit‡ non conosciute.
Ora i sogni stessi hanno dimensioni e spessori diversi.
La gente di fuori fa parte di me! Forse Ë questa la scoperta pi? grande. Che siamo tutti alla ricerca di qualcosa in questo mondo, in questa vita. E non cíË solo il giorno uguale ad un altro, il ciclo del lavoro, alzati vai lavora guadagna compraÖdiscorsi del **** pure questi.
No, cíË altro!
CíË il fermarsi, il camminare per vie pi? dure, accanto a quelle pi? facili, lÏ accanto.
Salire e scendere invece di tagliare, di accorciare. Il camino contro la carrettiera; e scopri chi sei durante, nel vivere; le tentazioni sono pi? forti quando si soffre; il camino Ë sofferenza, e mentre cresce la voglia di riposarsi, di prendere fiato, tu devi andare, giorno dopo giorno, come nella vita.
Questo Ë il camino: Ë la vita; non Ë niente di pi?.
Solo che qui la vita la vedi nuda, senza fronzoli. La mangi, la respiri, la pedali.
Ecco perchÈ lího fatto! » facile ora!
Ora so una cosa, che ho fatto una scelta, e in cambio ho ricevuto in dono pi? di quanto ho dato.
Proprio come chi ama veramente, e dallíamore viene nutrito di amore.
Si perde nel camino, si perde peso e si perdono le paure che ora si guardano col sudore in fronte.
Si impara nel camino, a guardare le frecce, a cercarle, come segni indicatori della giusta via.
» cosÏ, cosÏ Ë nella vita. Si cercano i segni per capire dove andare, cercando cercando la via.
E qui, cercando, impari a vedere di pi?, a fermarti, a respirareÖa sentirti.
Anche il fatto di averlo condiviso mi ha dato la possibilit‡ di sperimentare la vita di coppia: nei momenti duri ogni risorsa era di entrambi. Condividerla era sedersi allo stesso tavolo e ricevere insieme e andare insieme.
Abbiamo valicato monti che immaginavamo insormontabili, invece, eccoci qui.
Líabbiamo fatto. E possiamo fare molto di pi?, ognuno con le sue vette da superare. Nello stesso cammino.
E ogni ostacolo Ë in realt‡ una prova ben diversa da quella che appare prima, durante, dopo sempre. » questo vivere il cammini; non Ë un mordi e fuggi: ti ìdeviî fermare e guardandoti intorno guardare te stesso nel mondo.
Potevo correre, farlo in molti meno giorni ma non avrei capito.
Potevo tagliare ma Ö.cosa avrei ìvistoî?
E non parlo di occhi ma del respiro corto dopo ogni salita, della forza che senti crescere dentro la persona che ami ogni volta che si supera un giorno; lo sguardo di chi lo fa a piedi, con i piedi gonfi, tagliati, lacerati, sanguinanti, eppure lÏ; il passo lento di chi resta senza acqua (cosa che capita solo a chi va a piedi) e ancora non trova ìfacileî aggrapparsi alla tua borraccia; ìbevi ****, bevi, io posso resistere, io posso andare!î
Accettare il destino. Ne abbiamo paura sia che esso venga a riempirci le vele, sia esso un vento contrario.
Accettare Ë il camino. Imparare a sapere attendere la sua piena evoluzione.
Abbiamo sperimentato come la vita nasconda le sue sorprese nelle cose pi? strane: per stare bene non serve un divano in pelle, líaria condizionata, Öper vivere meglio ci Ë servito che una nuvola piccola piccola si frapponesse tra noi ed il sole di agosto nella mesetaÖe allora pedalare Ë stato ìpossibileî, perfino bello.
Abbiamo sperimentato che a sperare cíË pi? gusto nel vivere. Porsi positivamente, senza fronzoli new age o esaltazioni mistiche.
Il giorno a Pamplona Anna ci ha donato ciÚ che ci serviva, ma che noi nemmeno speravamo: un tetto, un abbraccio.
Il giorno dopo al Punto del Perdono, alla fine di una salita molto pesante coloro che ci hanno aiutato erano uomini liberi che a loro tempo hanno ricevuto dal camino e che ora a chi lo percorre si offrono, volontari del cuore.
Dal punto del Perdono inizia la discesa per Puente la Reina, laddove tutti i cammini diventano uno.
Il parroco ci vede in fila davanti allíalbergue, Ë il primo che incontriamo, ci chiama e ci invita a seguirlo in chiesa dove ci appone il primo sellos della nostra carta del pellegrino. Ripartiamo carichi di emozione, andiamo, andiamo.
Il pranzo lo consumiamo in un paesino: nella piazzetta triangolare allíentrata ci buttiamo letteralmente a terra a riposare: Claudia dorme ed io riposo, diventer‡ una abitudine la siesta dallíuna alle quattro; e poi il sole Ë troppo forte; riusciremo comunque ad avere ottime medie, senza correreÖecco, durante i primi giorni avevo la costante brama di arrivare, di mettere il minore spazio possibile tra me e Santiago; poi, grazie alla presenza di Claudia, ho rallentato, e alla smania di finire si Ë sostituito il desiderio di scoprire.
Nel tardo pomeriggio arriviamo a Estella, attraversiamo il fiume ed ammiriamo il fronte di una splendida Chiesa catalana; líalbergue nel paesino Ë pieno, ma ce nÈ uno allíuscita; lo raggiungiamo e ci sistemiamo per la notte: siamo dentro un palazzotto per lo sport che durante la stagione estiva serve da albergue, con materassi a terra ma in perfetta pulizia.
Mangiamo nel piccolo ristorante dentro al palazzotto, gustando una ottima insalata (era proprio quello che il corpo desiderava). Fuori facciamo una passeggiata raccogliendo more; al ritorno in albergue conosciamo persone nuove: un uomo lumbard con una panza enorme che cinque anni prima aveva iniziato e non finito il camino con suo figlio, ora suo figlio Ë morto e lui Ë lÏ, nel camino, insieme a suo figlio. CíË pure un professore francese, ha problemi a camminare per una malformazione, trasmette una forza e una fascino non da poco, condividiamo le more e poche parole, a volte ne bastano davvero poche.
Secondo giorno di camino (Estella / Ventosa)
Ci alziamo presto svegliati da un concerto di musica classica in crescendo, il pi? bel risveglio del camino. Dopo una buona colazione, sistemate le borse in bici siamo pronti a partire. Di mattina cíË parecchio freddo. Siamo nei campi a vigna della Roja, in continuo leggero saliscendi, la strada Ë uno sterrato facile, senza bucheÖsolo il vento e nuvole sempre pi? scure che ci lasciano col dubbio: terr‡ il sereno?
Visitiamo i vari paesi, fermandoci ogni tanto a rifocillarci. Bellissima la cattedrale di Viana. Conosciamo tanti pellegrini, con alcuni ci rivediamo lungo la strada, per molti altri il primo sar‡ líunico incontro.
In discesa raggiungiamo la bellissima LogronoÖil tempo peggioraÖallíuscita della citt‡ ci fermiamo in un supermercato, Claudia entra a comprare qualcosa, quando esce mi trova seduto a terra col poncho antiacqua sotto un temporale. Pranziamo davanti al supermercato con Martin e Spiona, due bici-pellegrini spagnoli.
Partiamo appena smette di piovere, il tratto di strada che ci aspetta Ë bellissimo: il camino Ë un viale alberato pianeggiante a tratti asfaltato, con tanto di piante e laghetto.
Arriviamo cosÏ a Navarrete, dove riposiamo allíombra di un portico medioevale. Il sello allíalbergue Ë díobbligo. Vorremo raggiungere Najera, ma il destino ha deciso altrimenti.
Ripartiamo e subito sentiamo arrivare un vento strano, freddoso e umido, la pioggia sta tornando. Siamo tra i vigneti, stanchi e dolenti, i segnali dicono che si puÚ fare una deviazione per Ventosa. Andiamo lÏ. Claudia Ë allo stremoÖuniamo le nostre forze e arriviamo nel minuscolo paesino che ha il nome del tempo che fa. Le mie gambe sono due pezzi di legno, non mi lamento e loro non possono gridare, se lo facessero mi manderebbero in un altro paese: gli ultimi km hanno portato me, i miei bagagli, Claudia ed i suoi bagagliÖ
Allíalbergue ci accoglie Angel, un eccentrico hostellero: avevamo paura che non ci fossero posti, il suo ìsi!î Ë la nostra salvezza. Posteggiamo le bici in una stalla ed entriamo nellíalbergue che Ë davvero bello. Fuori piove e la stanchezza Ë tanta. La doccia ci da un poí di forze, quelle per andare e tornare dal ristorante che Ë vicino, ma pare cosÏ lontanoÖmangiamo benissimo per soli 7.5Ä . conosciamo due ragazzi di milano, pellegrini a piedi, uno mi racconta che dalla partenza si Ë andato alleggerendo del superfluo, dalle continue telefonate che fa a sua madre per rassicurarla, mi auguro che si alleggerisca pure del telefonino e di sua madre.
La notte non passa liscia: Claudia Ë presa da ìincubi da acido latticoî. La mattina scendere a fare colazione Ë una forzatura, ma non siamo soli: tanta gente ha sofferenze di ogni tipo.
Piano piano ci rimettiamo in moto: la via Ë un single-track pietroso; poi di nuovo sentiero in discesa verso Najera, la citt‡ ancora dorme, la attraversiamo in silenzio ammirando come paia scavata nella montagna e tagliata in mezzo dal fiume.
Allíuscita del paese ci aspetta uno strappo in salita; lo facciamo aspettare ancora e ci fermiamo a fare la seconda colazione in una splendida e profumatissima pineta.
Ripartiamo immersi in campi coltivati a vigne e a grano, col sentiero rosso. Uno spettacolo.
Arriviamo felici a S.Domingo de la Calzada, paesino turistico: strano notare la schiera contrapposta di pellegrini e turisti, sembra che ognuno pensi male dellíaltro.
Usciamo presto dal paese e raggiungiamo Villarta, ci piazziamo nella piazza centrale ma di riposare non se ne parla: dei ragazzini in bici ci vedono e ci fanno la festa. Foto di rito e ripartiamo; solo pochi km e ci fermiamo per fare la bella siesta allíobra di enormi cipressi, sdraiati tra il grano appena tagliatoÖquesta Ë vita. Le bici fanno da stendino ai vestiti lavati la sera prima. Claudia si addormenta e io mi godo il passaggio dei pellegrini a piedi, dondolanti sotto lo zaino a ancor di pi? sotto il sole cocente di Spagna, santi uomini della terra in cammino che Ë danza mentre il tempo si ferma e la vita chiede di essere capita finalmente.
Ripartiamo verso Belorado, attraversando paesini semi abbandonati; ogni tanto allo sterrato si alterna un asfalto morbido, oleoso e puzzosoÖma Belorado Ë vicina: siamo stanchi ma stiamo meglio del giorno prima: e poi líarrivo a belorado Ë in discesa, uno sterrato veloce che pedaliamo felici di corsa rincorrendo dei bambini in bici, bambini anche noi.
Troviamo subito posto nellíalbergue della chiesa, tutto Ë bello, la chiesa con le rondini sul campanile, la gente, i pellegrini.
Andiamo a fare compere e ci prepariamo da noi una cena ottima, sar‡ líunica volta che cuciniamo. Facciamo amicizia con un gruppo di Messina, tra questi uno spassoso erborista ed un fisioterapista, al lavoro tra i pellegrini dolenti. Dormiamo coi tappi nelle orecchie, anche i pellegrini russano, e meno male che non mangiano fagioli.
Conosco un ragazzo, Ë infermiere in italia, Ë appena stato in ospedale: Ë sorpreso della gentilezza e professionalit‡ con la quale Ë stato trattato.
La Spagna rappresenta forse ciÚ che avremmo dovuto o ancora potremmo essere: un paese dove il rispetto dellíuomo esiste, dove la cultura del prossimo, senza distinzioni di razza, sesso,, orientamento religioso Ë il collante di ogni rapporto; dove i dipendenti politici del popolo ne rappresentano líindipendenza nei rapporti internazionali e lo sviluppo in quelli etico-culturali.
» un paese che vuole crescere, che ha messo al bando il ladruncolo Aznar (ladro di marmellate se paragonato allo psiconano italiano) che pure era favorevole ai pacs; un paese che ha detto no alla guerra e ha avuto i coglioni per tirarsi fuori da una occupazione illegaleÖ
Una cosa mi ha impressionato: il loro sistema viario e di parcheggio, il primo diviso per veicoli, bici e pedoni, ognuno con le sue regole e diritti; il secondo ìnascostoî spesso sotto le piazze, le piazze erano per le persone non per le macchine come da noi.
La notte a Belorado passa presto, troppo presto; la mattina prepariamo le bici che avevamo incatenato in uno spiazzo dietro la chiesaÖdi chiese ne visiteremo tante, tutte simili ma tutte diverse; siamo gli ultimi a lasciare líalbergue, il cammino inizia con una salita e ci fermiamo di continuo fino a che ci stoppiamo: Claudia ha troppo dolore alle gambe, proviamo con le vitamine ma nel frattempo siamo fermi, seduti su una panchina a guardare gli altri pellegrini passare; vorrei essere sulla biciÖma aspettiamo. La sosta, una aspirina e le vitamine fanno bene a Claudia che riprende a pedalare alla grande. Siamo sempre tra i vigneti e continuiamo a salire; reincontraimo i messinesi che sono partiti allíalba: Ë bello godersi gli incontri, anche se hanno il gusto del non vedersi pi?. Dopo la pausa caffË siamo di nuovo on the road; e la strada stavolta comincia ad impennarsi; oltretutto fa caldo; ma siamo uniti, e arriviamo ìcu ciatuniî al passo di Punta Petraia a quota 1.150m. potremo scendere fino a Burgos dalla facile carrettiera, ma siamo pellegrini; preferiamo quindi continuare per San Juan de OrtegaÖne varr‡ la pena, se di pena si puÚ parlare: la strada Ë larga, piatta, sterrata ed in leggero declivio; per di pi? immersa in un bosco fittissimo: siamo nel paradiso del ciclista: mentre i pellegrini a piedi camminano, noi sperimentiamo líefficace invenzione della ruota. Raggiungiamo S.Juan in scioltezza: la chiesa Ë líelemento principale dellíagglomerato di case, la visitiamo e poi incontriamo il prete per il sello; quando gli diciamo che siamo siciliani líunica cosa che sa dire Ë ìmafiaî, come se uno mi dicesse basco e io rispondessi ìetaî; gli sorrido egli dico di stare attento, mentre davvero in una parte di me qualcosa inizia a roteare. Ripartiamo, tanto la strada Ë in discesa. Claudia ha la bici con la forcella e si lanciaÖio devo stare attento ad ogni pietra, sono pi? pesante di corpo e di bagaglio.
Dopo un poí usciamo dal bosco e il paesaggio si apre colorandosi di un giallo intenso. Alberi maestosi segnano ogni tanto la strada e cosÏ, col caldo che aumenta, arriviamo ad Atapuerca, borgo sperduto di origine paleolitica.
» ora di pranzo e consoliamo il nostro appetito nellíunico emporio, bar, supermercato, entro commerciale del paese. I ìtiziî sono gentilissimi e preparano ottimi panini; la siesta la facciamo allíombra in un giardino.
Quando riprendiamo il camino decido di sperimentare vie nuove: convinco Claudia ad abbandonare le frecce ìguarda, vedi? Il sentiero gira attorno a queste colline, noi ci giriamo attorno per di quaÖîÖ; fatto sta che allunghiamo di 5km e per di pi? finiamo dentro una enorme fabbrica di calce e cementoÖ(sono bravo a perdermi).
La strada Ë ora una statale, la pendenza e l'effetto traino dei camion che ci sorpassano, ci fa volare fino alla periferia di Burgos.
Dopo giorni passati in mezzo alla natura, ritrovarsi nella periferia commerciale di una citt‡...fa schifo.
Incontriamo dei pellegrini, sono straniti e dubbiosi "possibile che sia questa la strada?"
Meno male che il tratto non dura molto, almeno in bici. E cosÏ entriamo nella parte storica della citt‡: attraversiamo il fiume e passando sotto una porta si apre alla vista la splendida Cattedrale.
Decidiamo di visitarla a turno, mentre l'altro resta di guardia alle bici.
Vado per primo e ...È bellissima.
Quando entra Claudia noto la curiosit‡ che attira la sua bici, saranno le salamandre?
Arriviamo all'albergue di Burgos che si trova dentro un parco, peccato si possa dormire solo a terra: invero sentiamo il bisogno di pace, di quella pace che solo un paesino puÚ dare; e allora via!
mentre pedaliamo ci raggiungono Sonia e Ivan...iniziamo a fare strada insieme, pedalando allegramente come quattro amici da sempre, raggiungendo RabË de la Calzada; qui prendiamo posto in un albergue gestito da una coppia formata da un marito rincoglionito e una moglie tirchia.
La cena la prepara la signora di sopra: un panino col formaggio, la peggiore cena del camino.
A noi si "unisce" Dino, un collega di professione di Claudia.
La mattina, dopo foto di rito e saluti, ripartiamo nel freddo, avvolti dalle nostre maglie antivento; siamo nell'altipiano spagnolo a circa 800m.
Tra una foto e l'altra ci riaggruppiamo a Sonia, Ivan e Dino: sar‡ uno dei pi? bei giorni di camino.
Dopo un pÚ lo spazio prende a dilatarsi, la sensazione che si prova Ë quella di un eterno perdersi, annullandosi nella vastit‡ dei campi, il confine Ë lontano e il niente che ci separa dalla linea di confine stessa annulla la percezione di noi: siamo un granello di polvere perso nell'infinito essere...
Pedaliamo insieme, nella Comunione che Ë, che siamo.
Vedo Claudia serena. Il paesaggio meraviglioso, la strada che ogni tanto scende per poi tornare su....
Dopo un paio d'ora siamo ad Hontanas, un paesello medioevale nella persa meseta. Facciamo la seconda colazione nel bar dell'albergue. Ë ottima: le merende supercaloriche della Dulcesol mandano in estasi.
Resterei qui per un bel pÚ, magari un annetto o due.
Usciamo da Hontanas e ci aspetta la vista di un bellissimo campo di girasoli, la strada Ë una mulattiera e Dino ha qualche problema alla bici che gli si va smontando.
Bellissime le rovine di un castello dei Templari gestito da fedeli di Sant'Antonio da Padova.
nel brecciolino che "pavimenta" il sito Claudia fa una caduta. Mi prende un pÚ di timore: basta cosÏ poco e tutto il camino va in fumo! e questo vale sia per noi che per le bici.Esperamos!.
La strada Ë bellissima, uno sterrato desolato che ogni tanto sale, ogni tanto sale assai, ma in questo caso uniamo le forze e saliamo a piedi: l'importante Ë andare!
È bello arrivare in cima e voltarsi. vediamo arrivare un ragazzo sulla bici, Ë riuscito a superare la pendenza senza scendere a piedi, ma paga con la rottura di un pedale.
Dino Ë dei nostri, mentre Ivan e Sonia sono davanti. Ci buttiamo in discese lunghissime nel sole a picco, e raggiungiamo Ittero entrando da un ponte sul fiume. Ë questa la tappa che ho amato di pi?, forse perchÈ vi posso concentrare le sensazioni dell'intero viaggio, il sole, i colori, i suoni, lo spazio...
Giunti come gi‡ detto ad Ittero, andiamo a fare la spesa per il pranzo con Dino, mentre Sonia e Ivan continuanoÖ
Il paese pare vuoto! Veniamo presto a sapere che tutti sono in Chiesa per un battesimo (cosa che ad Ittero avviene ogni 4/5 anni); ci dirigiamo cosÏ verso la chiesa, arrivando mentre escono: Ë usanza augurale che i genitori del battezzato offrano delle caramellos agli astanti lanciandole per aria, ma ciÚ che colpisce Ë la foga con la quale la popolazione si ìproiettiî sulle disiate leccornie; e dire che la maggior parte degli abitanti Ë avanti con gli anni e con seri problemi a curvare la schienaÖ; le risate sono in questi casi un obbligo, specie osservando come gli anzianotti si prodighino ad aiutare le pulzelleÖ.
La nostra bella comparsa la facciamo durante il pranzo: ci sistemiamo infatti nel portico di un edificio, accanto ad una fontana; tagliando il pane, sbucciando la fruttaÖfacciamo ìmuddrichiî; insomma facciamo un casino per terra; Dopo un poí vediamo arrivare la processione dei festaioliÖche si fermano davanti a noi. Che bello, penso! E restando seduto tra i resti del pasto appena consumato, scatto qualche foto Öma loro non si muovono pi?: restano fermi davanti a noi, che riusciamo a capire solo dopo tempo che Öabbiamo banchettato nel loro portico e loro, battezzato in testa, non possono entrare in casa.
La cosa allucinante Ë che passandoci davanti si scusano del disturbo, Spagnoli Zapateristi!
Dopo pranzo do una guardata alla bici di Dino: non Ë messa tanto bene: si Ë allentato un poí tutto. La cosa che mi sorprende sono i freni di plasticaÖîcome fa a frenare!î.
Dino ad ogni modo riparte prima di noi. Salutiamo anche lui, prevedendo che non lo rincontreremo. Durante la siesta (di tipo ìdormienteî per Claudia) faccio un poí di manutenzione alle bici: i portapacchi sono un poí allentati, le catene sono secche. Un ragazzo che abita lÏ vicino mi offre dellíolio e la sua simpatia: Ë un maniaco di minimoto: ne ha sei, e ci corre da matto.
Ripartiamo controvento e controvoglia. Siamo stanchi e abbiamo bisogno di riposare.
La strada Ë sempre uno sterrato quasi piatto, con qualche saliscendi.
Passiamo da Boadilla del Camino dove entro in un bar a comprare qualcosa da bereÖil paese Ë vuoto e nel bar ci sono solo uominiÖ
Giriamo intorno alla chiesa ñ centro del paese e riprendiamo il camino. La strada diventa sassosa e il tremolizzo ci stressa i polsi ed il Ö culo. Pedaliamo accanto ad un fiume. Qui ci fermiamo ad aiutare due bikers in difficolt‡ con una ruota (non hanno una pompa!). la strada ìsulî fiume termina con líattraversamento di una chiusa.
Oggi Claudia non ne vuole sapere di fermarsi, ed alla fine saranno 76 i Km percorsi.
Fromista, Villarmenteros e Carrion de los Condes ìpassanoî ad alta velocit‡: la voglia di fermarci ìciî spinge ad andare pi? forte; il desiderio di riposare mi fa pedalare oltre i miei limiti. Claudia si aiuta aggrappandosi alla mia spalla ed io tiro me e lei. Arriviamo cosÏ a Carrion: ho le gambe che sono diventate di legno; un ragazzo ci accompagna dal Convento / Albergue dove due suore ci sistemano per la notte. La doccia mi restituisce le energie. Siamo ìarrivatiî! líatmosfera nello stanzone Ë bella. Rincontriamo due tizi olandesi che ci avevano superato sulla strada per Carrion, solo che loro sono andati fuori strada, noi abbiamo chiesto info e siamo riusciti ad accorciare.
Usciamo a fare due passi, ed in un giardino, stesi nellíerba, consumiamo la nostra cenaÖË stata una giornata dura.
Torniamo presto al convento e facciamo amicizia con degli spagnoli, uno dei due inizia la notte martellandosi il torace mentre ascolta musica in cuffie. Pazzo, lucente, schizzato pellegrino spagnolo. Ma viene la notte, la notte calma; ed il sonno si adagia nel letto, portandosi seco i miei pensieri. Dormo, pesante, ma la mattina arriva troppo presto: nel buio i pellegrini a piedi si preparano ed escono, ma fanno rumore e svegliano tutti, anche quelli che vogliono dormire. Ci ho provato a farli silenziare, ma con líunico effetto che diventando pi? cauti, fanno ancora pi? rumore.
Ci alziamo per ultimi e ripartiamo per ultimi. La giornata Ë bella, fresca e pulita.
Un nuovo giorno ci aspetta e noi gli andiamo incontro. La strada Ë piatta, pi? precisamente Ë un lungo dritto sentiero pieno di pietre da evitare; ma molto pedalabile. Gi‡ nella prima ora superiamo tutti i pellegrini a piedi: in pianura la bici equivale ad un aereo.
AndiamoÖmuoversi Ë la vita che ti scorre dentro. Siamo, nel movimento, al piano estatico dellíessere. Qui non ci sono vuoti, ci siamo solo noi. Pedalando cerchiamo di stare attenti a dove passano le nostre ruote (líunico gommoso contatto con la terra): il peso delle bici Ë rilevante, anche se abbiamo líessenziale; e basta una pietra per spaccare un copertone.
I primi 20 km passano in fretta e ci fermiamo a fare colazione a Calzadilla de la Cueza, nellíunico bar aperto. La giornata Ë soleggiata ma Ë solo arrivati al bar che decidiamo di alleggerire líabbigliamento.
Il paesaggio Ë bellissimo e ci sono pochissime persone ora in giro. Proseguiamo tratto dopo tratto e a pranzo siamo a Sahagun. Entriamo in paese assieme ad una coppia (padre/figlio) che Ë pure ìsulî cammino, ma per divorarlo con líunico obiettivo di esserne alla fine divorati. Ci tengono a farci sapere quanti km hanno percorso con le loro bici da bitume. Non vediamo líora di perderli.
Fatta la spesa in un supermercato andiamo a cercare un posto alberato per desinareÖlo troviamo poco lontano, nella parte bassa del paese: un ritaglio di verde nella citt‡ di cemento, proprio accanto ai resti di una chiesa romanica come tante ve ne sono.
Ci caliamo tutto e ci mettiamo subito a riposare avendo cura di stendere la biancheria. Ma a me oggi non mi va di stare fermo. Ho voglia di viaggiare, e finisco col convincere Claudia a ripartire subito. Usciamo da Sahagun sotto un sole cocente, ma il mio esperimento dura meno di 15km, e siamo costretti a fermarci: Claudia Ë ìarrivataî, si stende, si addormenta; io la seguo a ruota.
A svegliarmi Ë il richiamo di una ragazza, ìno, sto sognando!î, invece Ë tanto vera quanto bella, alla guida di una jeep viaggia lungo il cammino per dare una mano ai pellegrini in difficolt‡.
Ripartiamo nel pomeriggio: ci aspetta il paese fantasma di El Burgo Ranero. Non cíË anima viva (ma dove sono tutti?). Pedaliamo nel silenzio tra case basse e decorate a fioriÖ
Ad un tratto scorgiamo una chiesa, líunico edificio con la porta aperta; entriamo sospinti dalla curiosit‡ e allíinterno, dopo qualche istante, si materializza una ragazza immersa, manco a dirlo, in un religioso silenzio: non ci rivolge la parola e solo quando lasciamo la chiesa si prodiga in un saluto sforzato.
Il tratto successivo Ë davvero impegnativo se non altro per il caldo: raggiungiamo due pellegrini a piedi in piena crisi, tanto che hanno difficolt‡ pure ad accettare il nostro aiuto che si presenta sotto forma di acqua; li forziamo a bere dalle nostre borracce: a piedi Ë fondamentale programmare bene le tappe in funzione delle proprie risorse, sbagliare si paga a caro prezzo.
La strada corre veloce e pare perdersi in un orizzonte piatto e lontano. Ogni tanto un cambiamento di pendenza ci ricorda che non stiamo sognando, liberandoci da un torpore mentale che annebbia i sensi: ma anche questo Ë ìcamminoî.
Arriviamo nel tardo pomeriggio a Mansilla de las mulas, ma nellíalbergue ci viene detto che non cíË posto letto: ci accolliamo di dormire nella lavanderia assieme ad altri due bicipellegrini spagnoli. Preso posto a terra ci rendiamo conto delle nostre ìtristiî condizioni, ma Ë solo dopo essere usciti nei corridoi che notiamo che a terra prendono posto quelli arrivati dopo di noi, e la nostra tristezza diventa ìfortunaî.
Dopo la doccia ci mettiamo a passeggiare per il paese: cíË una festa e cíË pure una gara per líauto meglio elaborata; Ë miele per i miei neuroni: mi avvicino con fare interessato al vincitore e gli dico di essere particolarmente affascinato dallo sviluppo del suo concetto di ìcarretto siciliano ad Altavilla Miliziaî che si concretizza nellíelaborazione di una automobile dai colori sgargianti. Gli chiedo se ha parenti ad Altavilla, lui nega ma a me resta il dubbio.
Andiamo a cenare in un ristorante accanto allíalbergue, e la cucina Ë al solito deliziosa e abbondante.
La sera ci vediamo con i bikers con i quali condividiamo la lavanderia: sono ciclisti di professione.
La notte Ë dura stesi sul pavimento a sentire la resistenza elettrica del grosso boiler in funzione, ci vuole poco a staccare la spinaÖ(che riattacco la mattina dopo).
La sera inizia a tirare vento. Siamo qa 20km da Leon e abbiamo superato la met‡ del cammino.
La notte giunge veloce e ci abbraccia mentre riposiamo dentro i nostri saccoletti. Domani Ë un altro giorno.
Manco il tempo di sparire nel sonno che líalba di un nuovo giorno si affaccia ai nostri occhi gonfi. Giusto il tempo di ingollare qualcosa e stiamo pedalando in direzione Leon. La strada Ë in discesa, veloce, facile: appena il tempo di passare qualche paesino e siamo dentro alla citt‡ che non ci aspetta, ma ancora dorme. Per terra sparsi i segni della fiesta della notte appena sparita. Giriamo e rigiriamo per la citt‡ seguendo le frecce gialle, poi le lasciamo per seguire líistinto. Ci ritroviamo a Plaza Major.
Ci sono pochissime auto e tanti turisti a piedi. Salutiamo i vari pellegrini che incontriamo, con molti dei quali scambiamo un unico eterno saluto.
Visitiamo la cattedrale e líex albergue do pellegrinos (oggi trasformato in hotel di lusso).
Uscire da Leon significa attraversare la sua periferia di casupole, ipermercati e grandi autovie.
Il pensiero va a quei pellegrini che iniziano il loro cammino da qui, perdendo quanto da noi sperimentato nelle tappe precedenti.
Ad aspettarci ore e ore di ìpedalazioniî nella meseta arroventata al limite della noia. Sperimentiamo con successo líandatura a trenino, filando via quasi senza stancarci (il nostro modo di procedere fatto di piccole e frequenti soste ristoratrici comincia a funzionare). Ovviamente dopo pranzo cíË sempre la siesta, che a 30km dopo Leon facciamo su una panchina nella sperduta San Miguel.
» bello non sapere dove ci fermeremo a pranzare o a dormire, sconoscere la nostra meta relativa al giorno, lasciando al caso il compito di guidarci; e concentrandoci, per parte nostra, solo ed esclusivamente sul camminoÖakuna matata!
Pedavolando giungiamo a Hospital díOrbigo; líentrata nel paese Ë bellissima perchÈ si attraversa un ponte medioevale di notevole fattura. Il paese tutto pare incantato e abbiamo líimpressione che da un momento allíaltro arrivino guerrieri a cavalloÖuna favola!
Il pomeriggio Ë gi‡ passato ed io sono propenso a fermarmi, mentre Claudia vuole proseguire; quando perÚ ci imbattiamo nellíalbergue di MatÏ, vicino a quello parrocchiale, entrambi siamo sospinti alla sosta: si respira uníatmosfera distesa e piacevole e ci sono tutti i confort di cui necessitiamo: docce pulite e letti comodi. MatÏ líhostellero diventa subito un amico e ci raccontiamo le nostre vite. Con noi pure Fabio, un ciclopellegrino col quale a sera andiamo a cenare in un locale con un bel pergolato. Una trota appena pescata e un buon vino rosso mi predispongono allíattacco di loquacit‡ di Fabio che nel suo cammino si porta appresso il bagaglio sempre troppo ingombrante che Ë la sua vita quotidianaÖa volte servirebbe solo Ö.stare in silenzio ad ascoltarsi!
Tornati in albergue cerchiamo subito il letto.
La colazione super di MatÏ ci da il benvenuto; cíË di tutto e MatÏ ci dona una scorta di frutta per il giorno. Pochi km e siamo ad Astorga dove non possiamo non fermarci ad ammirare le architetture di GaudÏÖe poi vogliamo prendere fiato prima del picco di Foncebadon.
La strada sale costantemente ma non Ë mai troppo ripida. Incontriamo molti pi? pellegrini che nei giorni precedenti probabilmente per la riunificazione delle strade per Santiago o forse per il fatto che molti pellegrini scelgono di percorrere solo gli ultimi km (ne mancano 300!).
Saliamo quindi fino a Rabanal dove ci fermiamo per fare spesa e pranzare. In giro per il paese solo pellegrini. Poi dal portone della Chiesa fuoriescono tutti gli 80 abitanti di Rabanal. Oggi ricorre la festa del pellegrino e i festeggiati siamo ìnoiî. Ci vengono offerti vassoi di tortillas e panades al tonno e cipolla, tanto squisiti quanto resistenti a qualsiasi succo gastrico. Mi appanados! Mentre tra la folla i paesani ballano e cantano. La siesta che segue vede Claudia sdraiata e dormiente e io appoggiato al muro in catalessi intestinale.
Ripartiamo da Rabanal forse troppo presto: il sole Ë molto forte e la digestione in atto.
Una nuvola fantozziana ci viene sopra e ci aiuta non pocoÖancora la provvidenza!
Percorriamo al coperto i km iniziali poi da est cominciano ad arrivare nubi con tuttíaltre intenzioni: sono nere e accompagnate da forti tuoni, e noi siamo in montagnaÖ
Arriviamo finalmente a FoncebadonÖla tempesta Ë vicina e chiedo ai paesani quanto credano durer‡: ìtres dias!î. Andare e rischiare o restare e aspettare!
Stavolta Claudia non ha incertezze: si va!
Il solo fatto di aver deciso di andare ci da una forza notevole e saliamo di lena. Un biker non si vive bene il sorpasso di Claudia e spingendo rapportoni lunghissimi ci risupera. Ma il nostro ritmo Ë il passo veloce di chi vuole spomparsi, di chi pedala pure con la ragione: pochi metri ancora e il biker cede. Ora perÚ siamo schiavi della nostra forza e ci abbandoniamo ad una corsa sfrenata verso la Cruz de hierro, il punto significativamente pi? importante per un pellegrino in bici. Tra grida di gioia e frenate a ruote bloccate arriviamo alla croce. Due folli schegge di umanit‡ in delirio cui Ë concesso di toccare il loro sogno.
Il tempo di uno scatto e siamo gi‡ sui pedali con la croce alle spalleÖ
La strada scende solo per qualche km, poi sotto nuvole, pioggia e freddo scolliniamo in Galizia.
Ci aspettano 20km di discesa a volte impegnativa (penso a Dino e alla sua bici).
Voliamo spettatori di un paesaggio che cambia, ai boschi di montagna fa spazio líaridit‡ delle valli.
Gli abitati di Manjarin e El Acebo ci fanno pensare díessere tornati indietro nel tempo.
La vista di una bici a pezzi su una stele ci lascia perplessi: vuoi vedere che qualcuno Ë finito in qualche burrone?
Sempre in discesa arriviamo a Molinaseca. Il fiume pieno di gente che fa il bagno e líalbergue con i letti allíaperto mi inducono a fermarmi! Ma al solitoÖqualcuno non Ë díaccordo. E dire che bastano pochi km a costringerci ad ìunireî le forze per andare avantiÖmentre i miei pensieri nuotano nel fiumeÖ
Ponferrada comunque non Ë lontana e ci arriviamo in poco tempo, líalbergue perÚ Ë dei pi? grandi: ci toccher‡ dormire nello scantinato e fortunatamente vicino alla porta.
A compenso la cena al ristorante Mencia Ë da sogno: il cameriere, notato il nostro appetito, richiama in anticipo il cuoco/proprietario (possibile?) che ci propina piatti squisiti a volont‡Ö
Torniamo allíalbergue col sorriso in faccia e ci immergiamo nei nostri posti letto sperimentando di lÏ a poco líutilit‡ dei tappi per le orecchie quando ci si trova in mezzo ad un concerto notturno per russatori professionistiÖ
Claudia perÚ non riesce a dormire e al mattino per poco non se la prende con líhostellero che la invita sgarbatamente ad uscire dallíalbergue.
Il passo Ë segnato da continue soste per i motivi pi? assurdi: controllo sella, qualcosa nellíocchio, mancanza di qualcosa nellíocchio (la lentina), una foto qua, e una l‡ no?...tanto siamo veloci se serve!
La strada Ë in pianura e i paesini sono splendidi; arriviamo a Villafranca del Bierzo.
Vorrei continuare subito ma Claudia mi convince a visitare la Chiesa di Santiago: entrare nella chiesa significa entrare in una dimensione misticaÖnon ci sono affreschi, nessuna statua, nessuna luceÖsolo un crocifisso tra i raggi di sole che filtrano dalle strette aperture dellíabside. Non ho parole. Perfino i miei pensieri si fermano e ogni respiro diventa una preghieraÖse uno mi chiedesse un luogo dove poter vivere la presenza di Dio, quello sarebbe un posto sicuro.
Esco dalle mura della chiesa semplicemente diverso, con quellíimmagine senza contorni che si Ë fissata nellíanima.
Ci rimettiamo a pedalare seguendo il corso di un fiume che scorre dentro un valloneÖ
Molti biker scelgono di tagliare per la pedalabile strada statale appena realizzata, ma noi siamo pellegrini: il tempo Ë una dimensione che Ë funzione del nostro essere, non del nostro arrivare.
Lungo questo strano tratto di strada immerso nella terra veniamo bloccati da una signora che deve indicarci la via (tra líaltro dentro ad un canyon non si puÚ sbagliare!) tantíË che ci lasciamo ìguidareî e lei se ne va feliceÖe noi pure.
Trovata uníarea de descanso mi approprio della bici di Claudia e vado a fare spesa nel paesino successivo. Tornando indietro contromano rispetto al cammino.
Ci prepariamo alla salita alimentandoci a pane e salameÖe tanta frutta.
Dopo la siesta riprendiamo il cammino e lo spettacolare paesaggio ci lascia senza fiatoÖanche perchÈ la salita ce ne toglie gi‡ abbastanza.
Non Ë un tratto facile , con pendenze che superano il 25%. Saliamo a piediÖnon spingendo ma sollevando le bici. Ma andiamo, provando di tanto in tanto a pedalare, ma preferendo camminare.
Superata La Laguna, dove facciamo acqua, ci aspetta OíCebreiero dove giungiamo felici e soddisfatti.
Le pallozze, tipiche abitazioni col tetto di paglia, sono interessanti e ci fermiamo a visitarle.
Poco fuori dal paese ci aspetta una ìcasa apertaî nei pressi di Hospital de Condesa, un rifugio con docce, cucina e lavanderia sempre apertoÖcíË freddo anche perchÈ siamo molto oltre quota 1000m.
La cena la gustiamo nellíunico ristorante dove facciamo amicizia con due enormi spagnoli bonaccioni che mettono allegria al primo sguardo: stanno percorrendo solo gli ultimi 150km del camino e si sono caricati 5kg di frutta secca, 1kg di gatorade in polvere, due saccoletti giganti e a compenso due asciugamani dei puffiÖ
Dopo aver dormito per terra nel soggiorno assieme ad altri pellegrini ripartiamo nellíaria fresca e pungente. Pochi metri e Luis finisce sottosopra predisponendoci al buonumore.
Scendiamo a Tricastela nel freddo immersi in un bosco vastissimo. Da qui fino a Santiago resteremo sempre dentro ai boschi della Galizia.
La discesa in bici non permette di scaldarci, il sole Ë lontano e basso, cosÏ ogni tanto ci fermiamo ad alitare sulle dita congelate. A Tricastela rincontriamo Luis e Hornie che perÚ decidono di proseguire per la carrettiera, noi optiamo per la favola del cammino...le felci ora sono sopra di noi, il sentiero Ë tagliato dentro al bosco che a tratti ci sovrasta lasciandoci a bocca aperta.
Non cíË pi? fatica ormai nel nostro andare, cíË solo líessere una cosa sola col mondo che ci avvolge: il cammino Ë diventato un susseguirsi di alberi dalle forme pi? strane; cresciuti liberamente essi sono opere dellíarte della natura.
La nebbia non si dirada che per brevi tratti e fanno la loro comparsa i torrenti da guadare a piedi.
Non cíË pi? salita, non cíË pi? discesa, non cíË pianura! Esiste solo líincedere senza monotonia, collina dopo collina, e poi una valle e dopo uníaltra valle ancora.
Sempre meno spesso percorriamo i tratti in ripida salita a piedi ma quando lo facciamo sentiamo di riprendere un contatto pi? profondo e concatenato ai tempi del nostro essere.
A pranzo giungiamo a Sartia, ormai a soli 120km da Santiago.
Pranziamo in un giardino ma senza poter riposare per líentusiasmo dei bambiniÖ.
Usciamo dalla cittadina e subito il bosco ci riaccoglie immenso. Non si vedono automobili, solo noi e gli altri pellegrini.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo Portomarin, un piccolo paese costruito sulle rive del fiume. Siamo stanchi per gli 80km di saliscendi nei boschi. Líalbergue Ë pieno e ci sistemano nella palestra comunale. Siamo in tanti compresi i due spagnoloni.
La sera, dopo cena, facciamo sempre una passeggiata. Stavolta assieme ai nuovi amici. Senza dubbio il cammino accomuna, a prescindere dai motivi per i quali lo si percorre.
Il cammino svuota, libera, amplificando il nostro essere unici.
La notte passa in silenzio solo grazie ai tappi e al mattino siamo i solitiÖultimi a partire.
La temperatura aumenta subito e continuiamo ad essere immersi nel bosco.
Dopo qualche km raggiungiamo i due spagnoli; Luis getta subito la spugna ma Hornie non ci sta ad essere superato da Claudia; iniziano cosÏ a correre tra pellegrini impauriti mentre io li seguo a ruota.
Ormai perÚ Claudia ha imparato che per restare veloci serve utilizzare rapporti corti e mai pesantiÖdopo un poí Hornie crolla e alza bandiera bianca a Claudia sorridente.
Il pranzo lo mangiamo a Melide, citt‡ del polpo bollito.
Nel primo pomeriggio siamo di nuovo esseri pedalanti. Il paesaggio Ë semplicemente bellissimo.
Le steli a bordo strada ci dicono che siamo a meno di centokm da Santiago, sempre di meno.
Se da una parte líallenamento degli ultimi giorni ci permette di essere pi? veloci, dallíaltro comincia a farsi largo il dispiacere che tutto quello che sto vivendo potr‡ finire.
CapirÚ solo dopo che il Cammino non finisceÖma continua dentro di me, giorno dopo giorno.
Percorriamo alla fine della giornata quasi 90km fino ad Arca o Pedron, siamo a ventikm.
Líalbergue Ë grande e ben tenuto. Ci sono posti solo a terra ma poco importa.
Líhostellera ci permette di usare il bagno privato e una doccia calda ci rimette in sesto.
In albergue rincontriamo due bikers olandesi che avevamo incontrato a CarrionÖli abbiamo raggiunti senza correre. Cosa stiamo diventando?
Ceniamo con una ottima zuppa galiziana e lenticchie! Sento il cibo divenire parte di me, saziarmi pure lo spiritoÖed Ë il cibo di mia nonna, quei sapori forti, semplici, puri.
Mi vengono in mente i suoi pentolini sul fuoco e quegli odori che ti proiettavano lontano, in alto.
Anche qui, dopo mangiato mi Ë concesso di sognare! Che bella la vita!
Ci svegliamo con una strana senzazione e un solo pensiero: tra poco saremo a Santiago!
Abbiamo giusto il tempo di montare le borse sulle bici e siamo di nuovo nel cammino, ancora per líultimo giorno, ancora in mezzo ad una natura spettacolare.
Claudia fila alla grande superando ogni biker che incontraÖla mente allíultima salita di Monte Gozo.
La affrontiamo di corsa come tradizione vuoleÖultreya et suseya!
Poi gi? verso SantiagoÖentriamo piano in citt‡, senza lasciare il filo invisibile segnato dalle frecce gialle.
Arriviamo davanti alla cattedrale. » sabato. Siamo arrivati!
Leghiamo le bici e andiamo a ritirare le nostre Compostelas al Vescovado mettendoci in fila tra pellegrini che non sembrano stanchiÖ
Ottenuta la Compostela andiamo subito in Cattedrale per la messa del pellegrino che si celebra ogni giorno alle 12. e qui rincontriamo Sonia e Ivan. » un piacere ritrovarsi.
Lo spettacolo offerto dal botafumiero attira gli sguardi dei turistiÖ
Usciamo dalla cattedrale e riprendiamo le bici, ma nella confusione abbiamo riperso Ivan e Sonia, che non rivedremo pi? almeno nel cammino di Spagna.
Ci rechiamo allora al Seminario per avere un alloggio, tagliamo da un cantiere per fare prima, ma Ë tardi e ci tocca aspettare 3 ore prima che ci venga assegnato un letto.
Sistemate le bici dentro al Seminario avendo cura di togliere borsette e orologi (li fregano!), ci vestiamo in abiti civili e facciamo il primo giro per Santiago.
A sera siamo stanchi, ma ciÚ che pi? sentiamo Ë il legame che si Ë creato tra noi.
Andiamo a dormire sapendo che allíindomani non dovremo alzarci per pedalare. La nostra esperienza Ë finita oggi, dopo 755km; pochi, tanti, non lo so e non importa.
In questi 12 giorni abbiamo attraversato la Spagna lungo la rotta pura della Via Lattea, pedalando su strade battute ogni anno da migliaia di pellegrini in cerca di qualcosa.
Noi abbiamo ottenuto molto di pi? dellíimmaginato: il cammino ci ha restituito emozioni che resteranno con noi per sempre, come per ogni attimo vissuto intensamente.
Il Cammino ha contribuito poi a temprare il nostro rapporto tra di noi e con gli altri.
Non credo di essere pi? credente di quanto non lo fossi prima di partire, certo perÚ confido molto di pi? nella ìprovvidenzaî e nella capacit‡ di ogni uomo di saper tirare fuori il meglio di se nelle condizioni peggiori.
Ho potuto sperimentare costantemente líaiuto che ci veniva offerto nei momenti di necessit‡.
Qualcuno potrebbe ìleggereî con altri parametri quanto scritto e ancor prima vissuto. Non importa. Vale comunque ( e comunque in ogni caso).
La domenica prendiamo líautobus per Finisterre. » una tappa necessaria per chiudere il cammino.
Fino allíacqua dellíoceano, per una nuova ripartenza.
Mi colpisce una frase scritta su una roccia che ìguardaî il mare sormontata da una freccia gialla: ì5000km ultreya!î.dapprima sorrido; poi penso a tutte quelle persone, a ciÚ che hanno fatto, a noiÖe leggo in quelle due righe che nulla Ë cambiato, che il Cammino Ë la vita di ognuno a prescindere dallíessere stato in Spagna, che le frecce sono líindicazione lasciata da chi ci ha preceduto per evitare di farci ìperdere tempoî e darci al contempo la possibilit‡ di spingerci oltre, che Santiago non Ë un arrivo ma solo una tappa, che laddove Finis-terrae comincia líoceano, che voglio Claudia accanto a me!
A Finisterre facciamo a piedi i 3km per raggiungere il faro. » pieno di gente e di qualche pellegrino che ìlasciaî qualcosa che ha segnato il suo Cammino.
Restiamo ad ammirare líoceano, la sua vastit‡, la sua bellezza. Ci chiama e sento che prima o poi lo andremo a trovare.
Tornando in paese entriamo in una chiesetta, Ë líultima chiesa del Cammino. Ci dicono che Ë una scelta far finire il Cammino a Santiago o a Finisterre, allora se scelgo che non finisca nemmeno qui?
PuÚ andar bene. Non finisce qui.
EpilogoIn autobus líindomani sera sistemiamo le bici. Il viaggio di ritorno a Bilbao Ë bello. Facciamo solo una tappa a Lugo per cambiare bus e per rifocillarci. Con líoccasione facciamo un giro in bici.
Verso sera ripartiamo. Líautobus viaggia veloce e alle 4.30 siamo a destinazione.
Ci sistemiamo su una panchina e aspettiamo il sole, mentre una pioggia leggera scende a bagnare le strade di Bilbao.
Alle 8 inizia la ricerca di un alloggio. Piove. Tutti ci rimandano alle 12Öcontinuo a cercare mentre Claudia aspetta in un bar. Trovo una pensione ma non ha parcheggio bici. Ok, troverÚ un parcheggio.
Mi rimetto in strada con líintenzione di trovare un parcheggio e incontro invece la persona pi? gentile di Spagna. Senza chiedere nulla in cambio, solo con la sua bont‡ díanimo Xavier diventa il nostro amico in Spagna. La sua esperienza poi, mista alla sua calda dialettica, Ë una spinta ad aprire il cuore.
Rester‡ nei nostri cuori líamico sincero, la grande persona che Ë.
Dopo una settimana dedicata al riposo e al turismo, con lui chiudiamo la nostra avventura spagnola.
» Xavier che si presta per accompagnarci allíaeroporto.
Ringraziando lui, ringraziamo tutta la Spagna, tutti i volontari che giorno dopo giorno rendono possibile il Cammino.
Non serve la fede religiosa, non Ë necessario partire cristiani; basta aprire il proprio cuore e andare.
Andare Ë il verbo.
E andare poi Ë amare.[/giustifica]
M.T.