Innamorati all’Infinito
“Cosa bella e mortal passa e non dura”.
Così Francesco Petrarca col famoso verso che ha coinvolto nei secoli quanti si sono interessati al tema dominante della umana effimera bellezza. Eppure…
Pochi tratti di carboncino. L’arte del togliere, di tutto ridurre all’essenziale, eliminando il superfluo, come anche Sigmund Freud avvertiva.
L’arte…, appunto. Quella cosa che, frutto da mani d’uomo, sfugge alla sorte sintetizzata nel verso di Petrarca. In quei pochi tratti c’è tutta l’essenza della vita.
Due esseri umani, un uomo e una donna: seduti su una spiaggia, di spalle; lei lo abbraccia ai fianchi. Davanti il mare sconfinato, infinito, dietro l’occhio discreto (o forse no) di chi guarda…
Sono due ragazzi forse, due esseri umani di certo.
Gli Innamorati è il titolo che l’autore Mario Zuppardo, pittore eclettico, poliedrico, artista vero, ha dato a questa sua opera che per me rimane il punto più alto della ingegnosità dei suoi lavori.
Quel quadro – in copia, s’intende; l’originale è custodito nella cassaforte, che dico?, nel cuore dell’autore – campeggia, unico, nella mia camera da letto.
È riportato nella copertina del mio libro Il rigattiere e l’avventore e anche nella copertina interna dell’opera omnia, il macrotesto, Una vita (opere 1989-2003). A guardare quel dipinto mi riempio gli occhi (e mi accorgo che riempie anche gli occhi di chi lo osserva). Gli parlo, gli recito versi. In verità li recito a me stesso: famosi, creati da grandi poeti e, anche talvolta di più modesti, i miei. Gli uni e gli altri, comunque, mi lavano il cuore.
Gli Innamorati, dunque. Che dire? Se dovessi scrivere quel che mi viene di pensare, allora non poche righe ma un intero volume occorrerebbe, per riportare le impressioni, le emozioni, le commozioni che quei tratti di carbone, segnati da mani d’artista, hanno reso su un bianco cartoncino, riempiendolo in modo completo, definitivo, pittoresco, artistico e, perché no?, poetico.
Sì, quei segni sono poesia pura, autentica, assoluta, che si libra nell’aria ondeggiando come una piuma. Ma sono anche simili a note musicali che sprigionano da uno strumento sia esso un violino, un pianoforte, un violoncello… o da un’intera orchestra diretta da Riccardo Muti.
Ora Mario mi ha fatto un dono irripetibile e irrinunciabile. Mi ha fatto vedere – e i miei, si badi, non sono “… i grandi occhi…”, né “… il radioso, innamorato stupore di Nausicaa” – una sua ulteriore elaborazione e libera interpretazione dell’opera.
Non solo quei semplici, splendidi, tratti di carboncino. Ma stavolta il dipinto è diventato una policromia di colori.
Non più la sabbia immobile, ma il mare culla quei due che s’amano. In fondo ai loro sguardi “… una siepe, che da tanta parte/ dell’ultimo orizzonte il guardo esclude…”.
Il poeta di Recanati, dello “… infinito silenzio…” che “… tra questa immensità s’annega il pensier…”, stavolta è colui che guarda e da voyeur osserva, apprezza, trasmette agli altri le sensazioni ad alta voce – o, se volete, ad alto verso – a quanti hanno a cuore la durata dell’opera d’arte.
L’arte che, da mani d’uomo mortal, mai passa.
E per Gli Innamorati e per quanti se ne coinvolgono nella visione “… il naufragar m’è dolce in questo mare”.
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