Foto AntonioGli scritti
su ANTONIO CALDARELLA
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PER ANTONIO
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Giovanni Stella: Un anno dopo
 
Bruno Formosa
Leonardo Miucci (1)
 
Orazio Parisi
Virginia Lenzo
Emilia Liotta
Valentina Mammana
Soleamaro
Nino Muccio
Leonardo Miucci (2)
Antonino Campisi
Alfio Santocono
Orazio Parisi (II)
Giuseppe Giallongo Cravè
Annamaria
Giovanni Stella
Domenico Giansiracusa
Anneli Berndt
Cristian Patanè
Mario Caldarella
Giovanni Boncoddo
Sebastiano Burgaretta
Donatella Cianchino
Fabrizio Montalto
Alessandra
Rametta Antonio
Gino Ficara
Domenico Giansiracusa (II)

Per Antonio Caldarella, un anno dopoFoto

Or è un anno, Antonio,
che qui non sei.
Eppure con gli occhi della mente
ti vediamo
e col ricordo rievochiamo
giorni e ore che insieme trascorremmo
noi tutti: affetti familiari
e amici cari.
Furono momenti di gioia
e di cultura e anche di essenza vitale,
alimentati dalla tua parola
precisa, calda, suadente,
mentre rammentavi le tue molteplici
esperienze di artista
e di uomo vero,
che sul pianeta Terra
ha saputo vivere
con una presenza
intensa e concreta.
E ancora oggi, pur nell’assenza,
riusciamo a parlarti
e ad ascoltarti come allora,
a essere accarezzati
dal tuo narrare
fatti reali o anche virtuali.
Così esisterai in noi e con noi,
ancora, ancora,
nel nostro cuore.
Finché memoria concederà.

 

Avola, 2 febbraio 2010
Giovanni Stella

 

LA SICILIAANTONIO CALDARELLA
Addio a un delicato affabulatore

Antonio Caldarella aveva l'indole del poeta. Chiunque l'abbia conosciuto concorda con il principio che Caldarella non poteva che essere un artista nella vita, per via della sua profonda levità esistenziale, per la sua luminosa bonomia e per l'incessante attività di ricerca nell'animo umano che compiva attraverso le sue liriche. Antonio Caldarella se n'è andato, qualche settimana fa, sulla soglia dei cinquanta anni. Pur con il gravame della malattia si è esibito fino all'ultimo, producendo letture memorabili delle sue poesie contenute in alcune produzioni editoriali, fra le quali 'Detto fra noi" e "La luna sfogliata dal vento". La tecnica del narrare, che insegnava in diverse scuole, era divenuta un altro dei suoi interessi. Da delicato affabulatore qual era, Antonio Caldarella era anche riuscito a diventare drammaturgo d'una peculiarità ricercata. Le sue partecipazioni a rassegne teatrali, in qualità di autore ed interprete, avevano illuminato un talento che non ha avuto il tempo di
espandersi, così come sarebbe stato giusto.

BRUNO FORMOSA
in LA SICILIA 19 maggio 2009
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L’autenticità del vivere
Lo scritto di Orazio Parisi, “La fragilità di vivere”, dedicato “all’opera” di Antonio Caldarella, mi ha suscitato alcune riflessioni che ritengo di dover mettere per iscritto, quasi dovessi obbedire ad una sorta di pulsione.
La cultura occidentale, quale quella formatasi dai Greci in poi e dall’avvento del Cristianesimo, grazie al pensiero metafisico e alla rimozione del tragico, ha conseguenzialmente rimosso dal suo orizzonte l’evento morte. Sembra che per gli occidentali della Morte non si debba parlare: è quasi un tabù. L’uomo occidentale ha astrattizzato la Morte attraverso il riflessivo “si muore”, e non “io muoio”. Il “si” riflessivo, per cui la morte riguarda tutti e nessuno allo stesso tempo, conduce ad una rinuncia da parte dell’uomo della sua “progettualità”, conduce, in altri termini, a vivere in modo inautentico. Ma la prospettiva della morte, che si manifesta all’uomo durante la sua esistenza attraverso l’esperienza del dolore (il dolore è una preannunciazione della morte), inquieta non per l’evento in sé, quanto, piuttosto, per il Nulla: non sappiamo dove si va quando si muore; “polvere sei e polvere ritornerai”. Il nulla. È propriamente il nulla che ci terrorizza, più che della morte in sé. Non possiamo parlare della Morte, perché di essa non abbiamo esperienza, e l’attesa che ci separa dall’evento morte la viviamo con angoscia. L’angoscia, tuttavia, rimane l’unico sentimento autentico perché esso solo restituisce, attraverso la consapevolezza della finitudine umana, il senso delle scelte che si compiono: che senso avrebbe vivere eternamente se durante posso fare ogni cosa e subito dopo, rendendola reversibile, rinnegarla? Se così fosse, l’eternità sarebbe una condanna più che una redenzione. Dunque: essere-per-la morte in modo heideggeriano significa condurre la propria esistenza nella piena consapevolezza che il nostro orizzonte di vita è limitato, senza però far perdere di significato alla vita. Ecco, credo che a questo punto possa inserirsi la figura, autentica, di Antonio Caldarella. Del poeta e artista Antonio Caldarella. Non amo molto commemorare e difatti non voglio commemorare, voglio più semplicemente annotare una considerazione a proposito dell’”opera” di Antonio Caldarella. Anzitutto credo che possa essere poeta, scrittore e artista solo chi – e solo chi – abbia fatto esperienza del dolore. Antonio Caldarella ha fatto esperienza del dolore, di un dolore amaro che lo ha consumato per tutta la sua esistenza, e non parlo del banale dolore fisico. Personalmente conosco un solo modo di fare esperienza del dolore: vivere con l’angoscia del nulla; camminare ai bordi dell’esistenza e rendersi purtroppo conto del abisso che hai di sotto. Ecco, rendersi conto: è questo il dolore. Il dolore, dunque, è l’unico, autentico ingrediente per gli scrittori, poeti e artisti, cioè per i cantori di questa tragedia che è la vita. Antonio Caldarella è un poeta, e il tempo presente non è usato come accezione grammaticale: esso ha una recondita verità.

Chiesi ad Antonio in una recente occasione prima della sua morte – ricordo si presentava il suo ultimo libro di poesie – chi fosse per lui il poeta. “Leonardo”, mi disse, “il poeta è colui che presa una mozzarella nelle mani, dopo averla strizzata ne prende il succo e butta via il resto”.
Egli ha voluto (?), con la sua opera, assurgere all’immortalità. D’altronde cosa rimane dopo i poeti e gli scrittori e gli artisti? La loro poesia, la loro scrittura, la loro arte. L’immortalità si sacralizza nell’arte di questi antieroi. E la scrittura, la poesia, l’arte in genere non sono forse forme di linguaggio? E il linguaggio non è forse la casa dell’essere? Ecco perché credo che parlando di Antonio Caldarella, come d’altra parte di tutti i veri poeti, scrittori e artisti che hanno “pro-gettato” la loro esistenza in modo autentico, non possa non parlarsi sempre al presente anche dopo di loro.

LeonardoLeonardo Miucci
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In ricordo di Antonio Caldarella

 

La fragilità di vivere

discorso tenuto da Orazio Parisi sabato 23 maggio 2009 nella Sala Gagliardi di Noto in occasione di Poeticamente vivo - Omaggio ad Antonio Caldarella

 

Nella foto: Orazio Parisi e Francesco UrsoCi sono momenti della vita in cui incontriamo il silenzio. Ancora oggi il silenzio, nonostante i trilli frenetici dei telefonini, ci piomba addosso all'improvviso e, il più delle volte, ci atterrisce. Il silenzio: questa parola che crediamo a noi familiare, quando si palesa veramente, ci lascia sbigottiti, e ci rendiamo subito conto di non saperne nulla. Come lo Zarathustra di Nietzsche, esclamiamo: “Mai avevo udito un tale silenzio attorno a me”!

        Ma perché il silenzio ci spaventa? Forse perché la circostanza da cui esso scaturisce è spiacevole? Forse. O forse perché non troviamo le parole – parole sensate? È certamente così. Il più delle volte, comunque, a questa domanda non segue alcuna risposta. Il silenzio, come si dice, ci lascia muti. Ma, d'altro canto, è proprio il silenzio a 'dirci' quanto contano le parole nella nostra vita. E allora, visto sotto questo profilo, il silenzio ci stimola a riflettere e, quindi, ci mette in attesa... di qualcosa; di qualcuno; di qualche parola. E, quando apprendiamo che quel qualcuno non c'è più, cos'altro possiamo desiderare, se non qualche parola che rompa il silenzio attorno a lui e tenga vivo il suo ricordo?

        Di Antonio Caldarella, oltretutto, non potremmo cercare altro che l'ágalma, la preziosa ágalma,  scrigno dell'enigma, del desiderio e della stessa informe illusione, con cui egli è riuscito, nonostante tutto, a 'contra-stare' la vita; cioè, la sua parola poetica. E quando troviamo questa parola, leggendo le sue poesie – le cose più preziose che Antonio ha avuto – il silenzio diviene un limite paradossale. Paradossale, per due motivi. Il primo è che il silenzio non s'addice a un poeta. E persino alla stessa vita di Antonio, interamente sostenuta dal linguaggio; poiché egli ha creduto veramente, e incondizionatamente, come ha scritto, di essere “dentro un film / dentro un libro / dentro un quadro”. E ha creduto fermamente che la realtà non sarebbe 'reale' – perché tutto ciò che è nella realtà è riproducibile all'infinito nel gioco ripetitivo di nascita/morte, eterno ritorno dell'uguale – se in essa non albergasse da sempre il mondo del 'simbolico', il solo a imprimere su ogni cosa il sigillo dell'unicità, emblema perfetto del dramma e del pathos vitale.

        Il secondo motivo riguarda direttamente la circostanza – improvvisa, shoccante, agghiacciante –   della sua scomparsa. Il dolore ci rende ebeti, afasici. Tuttavia, non lascia a lungo in silenzio; perché è comunque una parola, magari una parola paradossale, in quanto è una parola, per così dire, 'oltre il linguaggio', una parola che viene dopo tutte le possibilità espressive delle parole, ma è la parola del sentire profondo, del pathos. E, subito dopo il turbine di stordimento e silenzio in cui immediatamente trascina, comincia a dire qualcosa.

        Cosa dice? Può non dire nulla... O può magari dire qualcosa di cui molti non riescono, purtroppo, a sentire altro che gemiti e indistinti rumori. Se il dolore sorge dagli oscuri e insondabili abissi del sentimento, occorre avere orecchie di poeta per potere bene ascoltare; e comprendere...

        L'amigdala di Antonio era di quel livello superiore, capace di 'alfabetizzare' le emozioni, e non solo di conservarne i ricordi, come tutti, nel tragico silenzio dell'in-comunicabilità. Per Antonio la poesia non è un'attività letteraria, è, per dirla con Wallace Stevens, “un'attività vitale. Per un vero poeta la sua poesia è la stessa cosa della sua vita”, “La poesia è una forza distruttiva”. In Antonio la vita si mostra sempre con il volto, poetico e surreale, del 'desiderio'. Desiderio di cosa? (Si badi bene! Come per il silenzio, il desiderio sembra a noi talmente familiare che pensiamo di padroneggiarne facilmente il senso; ma, come titola un libro di Fulvio Carmagnola sulle figure di Agalma da Platone a Lacan, “Il desiderio non è una cosa semplice”, e non è cosa semplice proprio per Antonio, come vedremo). “Il cielo/mare – scrive Antonio – è adesso davanti a me. Posso vederlo dal divano su cui sono solito leggere la sera, e cercarlo in terra, dai racconti di coloro che lo videro e ce ne fecero dono... l'oro di Montezuma, tesoro dei desideranti – come diceva A. Breton – nel suo Amour fou”.

        Questo, che appartiene agli ultimi scritti di Antonio, generosamente pubblicati in un catalogo d'arte, non è un dettaglio della sua opera – o della sua personalità. È tutto se stesso. E non è casuale la citazione di Breton; perché Antonio, per tutta la vita, non ha fatto, e detto, altro che quanto ha raccomandato Breton nel suo Amour fou: “Si tratta di non lasciare, dietro di sé, che i sentieri del desiderio si aggroviglino. Al diavolo ogni prigionia, fosse anche in nome dell'utilità universale, fosse anche nei giardini di pietre preziose di Montezuma! Ancora oggi, se mi aspetto qualcosa è soltanto dalla mia disponibilità, da questa sete di vagare incontro a tutto; e sono certo che essa mi mantiene in comunicazione misteriosa con gli altri esseri disponibili, come se fossimo chiamati da un momento all'altro a riunirci. Mi piacerebbe che la mia vita non lasciasse dietro di sé altro mormorio che una canzone di veglia, di una canzone per ingannare l'attesa. Indipendentemente da ciò che sopraggiunge, o non sopraggiunge, l'attesa è in sé meravigliosa”.

        Foto SalaScrive il filosofo Alain Badiou, a commento di questo passo di Breton: “La figura di colui che veglia è una delle grandi figure artistiche del secolo. La vedetta è colui per il quale non esiste altro che l'intensità dell'agguato, e dunque colui per il quale l'ombra e la preda si fondono in un unico lampo. La tesi della veglia, o dell'attesa, è che non si può conservare il reale altro che restando indifferenti a ciò che sopraggiunge o non sopraggiunge. È una delle principali tesi del secolo: l'attesa è una virtù cardinale perché è la sola forma esistente di indifferenza intensa.” (A. Badiou, “Il secolo”, Feltrinelli, 1998, p. 34).

        Le due citazioni, di Breton e di Badiou, mi colpiscono molto. Attraverso queste poche ma essenziali righe vedo scorrere davanti a me tutta la vita di Antonio, almeno come l'ho conosciuta io: con la sua “sete di vagare incontro a tutto”, come scrive Breton, e con la sua tenacia, persino caparbietà, nel voler ancorare i suoi sogni alla realtà; a qualunque costo, anche a costo di rimanere indifferente “a ciò che sopraggiunge o non sopraggiunge”, come afferma Badiou. Con la sua giocosa e dolce ilarità e con la sua, a volte pungente a volte malinconica, ironia – ma anche con la sua arguzia nell'accettare apparentemente quella 'leggerezza' della vita che in effetti non era affatto leggera, ma leggera diveniva soltanto nella trasfigurazione della sua arte – egli non ha voluto negare la realtà; al contrario, ha preteso più realtà. Ha preteso che anche i sogni facessero parte, e legittimamente, della vita reale. Ha reclamato, con tutto se stesso, la possibilità di sognare a occhi aperti, di giorno e non solo di notte. E ha mostrato, e dimostrato, come diceva E. A. Poe, che chi sogna di giorno sa più cose di chi sogna solo di notte. E questa pretesa, tra l'altro l'unica pretesa della sua vita, è stata per lui imprescindibile. Anche a costo di essere assassinato dai suoi stessi versi, così come Montezuma fu assassinato con oro fuso colato in gola.

        Questo scritto di Antonio si può considerare il suo testamento spirituale, una volta raggiunta la consapevolezza di aver 'giocato' per tutta la vita, come scrive egregiamente Nadia Fusini riguardo alla poetica di Wallace Stevens, con “l'alfabeto che uccide”: “L'alfabeto – che l'uomo per vivere debba giocare con tale pericoloso elemento, non è questo (per Stevens – e io aggiungo, per Antonio Caldarella) il problema?”.

        Antonio ha avuto, dunque, piena consapevolezza di essere stato uno tra coloro che poetano, cioè tra quelli che con la scrittura sostengono il vuoto della vita. Un vuoto, sì; ma un vuoto che non è propriamente vuoto, come egli subito dopo scrive, se in esso, e con esso, come sempre accade, sia a chi poeta sia a chi vive, si scommette e si combatte per tutta la vita: “Il pittore appartiene a questi esseri desideranti. Anch'io vi appartengo. L'ho riconosciuto dall'ansia che caratterizza il cammino degli esseri desideranti e che trova pace soltanto nello scontro, corpo a corpo con la tela; così come io sono solito combattere con il foglio. Siamo compagni d'arme, della comune ricerca della visione di quell'ambìto cielo/mare, cercato nelle ventose passeggiate mattutine e nel silenzio della calma piatta, foglio e tela della comunione serena con un caffè dopo il segno e con un tè dopo il sogno. Il pittore adesso mi fa ammirare i suoi quadri e conclude con una smorfia che recita: Più di questo non so fare. Io gli leggo una mia pagina e dico: Più di questo non sappiamo fare. Quindi sereni ci avviamo verso l'orizzonte, dove mare e cielo s'incontrano, dove acqua e aria hanno colori cangianti e desiderosi di spleen, quali un mare ribaltato, dipinto e scritto da un sogno”.

        Foto SalaAntonio capovolge il concetto di spleen: l'angoscia della vita non contamina l'arte, la poesia, come in Baudelaire, proprio perché ogni cosa, egli dice, può essere 'ribaltata', non nel, ma dal sogno, cioè dall'essere pienamente poeta e, quindi, 'indifferente' a tutto ciò che non è arte. Tutt'al più, il poeta può 'vivere' la dimensione del breakdown, dell'inciampo; 'più di questo non sa fare': inciampa nella vita, riconoscendo che il desiderio è proprio l'elemento che allo stesso tempo dissimula e smaschera il vuoto della vita. E, aderendo al messaggio del surrealista Breton, canta in questo modo la sua 'canzone'; quella stessa canzone con cui ha ingannato l'attesa. Non c'è migliore inganno di questo: del sostenere la vita solo con il fragile sostegno della poesia. Strana fragilità, però! Se Antonio riesce con essa a urlarci negli occhi e prenderci a schiaffi per la nostra misera, e a volte tragica, inconsapevolezza: “L'urlo dei sassi neri del vulcano / arriva dall'acqua lenta dei secoli. / Il fragore della natura / è uno schiaffo fortissimo. / Mentre inciampo nei tuoi occhi, / mi chiedo, / se riuscirò mai a portarti dove vorrei / e magari, conservare una tua foto / nella cornice d'un leggìo. / Vorrei parlarti di certe stelle cadute, / tra un sorriso / e una nenia. / Anche di alcune lune scadute, / nell'attesa di un bacio. / Il mio urlo rompe il vetro di una lacrima.”.

        Mi manca l'urlo di Antonio! Quell'urlo fragile ma capace di frantumare meravigliosamente le lacrime 'vetrificate' di tutti coloro che non conoscono il ‘rimedio’ a un'esistenza che non persuade di nulla; che, un bel giorno, all'improvviso, si ritrovano con una solitudine raggelante, assurda; una solitudine, ancor di più, che non lascia nemmeno soli con se stessi, ma soli perfino senza di sé. Quella stessa solitudine che, all'improvviso, sorprende tutti noi sull'orlo di quell'abisso oscuro in cui siamo destinati un giorno, qualche giorno impossibile, come direbbe Valery, a sprofondare: l'abisso oscuro del silenzio.

        Ma ancora qui, come a sorprenderci, Antonio ci urla in viso, gioiosamente, il ‘rimedio’, senza nessuna pretesa,  senza nessuna consolazione: “C'è sempre un giorno – scrive – in cui qualcosa ha fine / e splendidamente, altro inizia, / ti sorride dietro una tenda / ed attraverso lei / ti sfiora e poi ti tocca / leggero e forte. / È far l'amore con un'onda di stoffa. / Ma tu sai che ti si svelerà / nell'attimo in cui la luce / riflessa dai tuoi seni / ti bacerà gli occhi stanchi / e aperti, dilatati nell'amore primo. / C'è sempre un giorno che sembra notte e si fa giorno. / C'è sempre una notte che sembra giorno / e lo è. / Splendidamente, altro inizia.”.

        E il ‘rimedio’ è sempre uguale: il desiderio della poesia, il componimento, l'opera d'arte: la più sublime tra tutte le opere dell'uomo, perché le comprende tutte, e tutte rende degne. Perché dà senso a tutto ciò che della realtà appare vuoto, incomprensibile, assurdo. Con essa perde d'importanza tutto ciò che è fine, finito; diviene invece splendido tutto quanto è inizio, cioè tutto quel che opera: l'opera è sempre 'in opera'. L'opera certamente non scongiura la fine, l'inevitabile fine, di tutto, di tutti. L'opera è semplicemente, e splendidamente, indifferente alla fine. L'opera reclama, en abyme, che la notte sembri giorno; e lo è, ci dice Antonio. Con l'opera, tramite l'opera... solo con l'opera non può esserci notte, ossia non può non venire 'in luce', splendidamente appunto, tutto quel che della vita è oscuro, vuoto, incomprensibile, assurdo... notte. L'Arte, solo l'incanto dell'arte (della pittura, della poesia, della musica...), cancella il senso della morte. In questa sua 'affezione' all'Arte, Antonio mostra il suo aspetto, per così dire, spirituale, in quanto per lui l'opera d'arte diviene la testimonianza che l'indifferenza alla o della vita ha in essa un limite pressoché assoluto; come a dire: la morte è il limite della vita in sé, non della vita dell'opera, perché l'opera d'arte non muore mai.

        Foto Noto LilianaPerché, allora, abbiamo così tanto timore della morte? Perché la morte è l'unica vera minaccia alla nostra identità: perché non possiamo appropriarcene; perché nessun 'io', davanti alla morte, può dire “io”. Solo la morte ci rende estranei a noi stessi: non siamo noi i padroni della morte, della nostra stessa morte. Epicuro diceva che quando ci siamo noi, la morte non c'è, e quando c'è la morte, noi non ci siamo. Questo in fondo significa anche che la morte non sta di fronte a noi, sta già alle nostre spalle; essa è la misura della nostra 'autoestraneità': siamo stranieri a noi stessi, la nostra identità non è altro, come sostiene Giacomo Marramao, che la 'medietà' del tempo che, nel momento stesso in cui diciamo “io”, ci ha già travolti; l’identità è in effetti un'illusione, così come lo è il possesso, il possedere. Emblematico è il fatto che non possediamo nemmeno l'amico. L'amico, diceva sant'Agostino, che è la persona più vicina a noi, è allo stesso tempo incommensurabilmente distante da noi: il mio amico, in realtà, non è 'mio'. Come dice Antonio in una bellissima poesia, riecheggiando nel titolo una canzone di Fabrizio De Andrè, siamo tutti “amici fragili”:

        “Sì, sono il tuo amico fragile, / quello per cui ti preoccupi / quando non hai di meglio da fare; / quello per cui stai in pensiero, / senza pensare, e da cui ti aspetti / una morte dolce, leale, o che almeno / tu non sia impegnato / il giorno del funerale. / Sono il tuo amico fragile, / specchio della tua deriva, / scivolo della tua caduta, / urlo del tuo silenzio. / Guardami negli occhi! / Sì, sono il tuo amico fragile, / quello di cristallo, di vetro soffiato, / quello a cui attraverso vedi tutto. / L'hai scampata bella, / avendo un amico fragile come me! / La musica, l'arte e la poesia / purtroppo nascono da un disagio / e si nutrono degli amici fragili, / quelli come noi, che sinceramente / possono anche, o assolutamente / fare a meno di te; perché, sì!, / sei tu il mio amico fragile, / perché, sì!, sei tu la mia amica fragile. / Ti bacio, perché ignori la mia forza / e non conosci alba e tramonto / e non hai mai risalite, cadendo”.

        Per il poeta, fragile è la vita, fragile è il vivere la vita, ma fragile è anche il mostrare la pur evidente fragilità di ogni cosa, perché questo compito è della poesia, dell'arte, e la poesia e l'arte sono solo immaginazione, niente di più che pura immaginazione: il desiderio, d'altronde, è solo desiderio, non è soddisfazione; il desiderio dona l'opera, ma è un dono eccessivo, è un dono di qualcosa che non si possiede, perché l'opera, ripeto, è come la vita, sempre 'in opera', non soddisfa mai. Ecco perché, purtroppo egli dice, la musica, l'arte e la poesia nascono da un disagio: è il disagio di esser parte di questo mondo, di appartenere alla realtà della vita che rinnega l'immaginazione perché disconosce la sua stessa vacuità. Ma, proprio perché, nonostante tutto, in questa vita c'è anche il poeta,  l'assenza di immaginazione - per dirla con Stevens - doveva tuttavia essere immaginata. E di ciò dobbiamo ringraziare anche Antonio, per sempre! In un'intervista, Nadia Fusini ha detto: “Per me gli scrittori non sono eroi di un Pantheon che sacralizza il successo: sono creature che hanno conosciuto spesso in vita il fallimento, patito dolori e sventure, e che testimoniano dell'unica immortalità in cui credo. Quella dell'opera”.

 

Orazio Parisi
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Ciao Antonio,
oggi avresti compiuto 50 anni. Ne avevamo parlato una sera ed avevamo scherzato sul tuo ingresso nel club dei cinquantenni.
Non so come avresti voluto festeggiare questo giorno. Se alla grande o un po’ in sordina.
Magari affacciato alla finestra della tua casa in ‘rivalmare’, come tu amavi chiamarla, e guardando il mare gli avresti narrato i tuoi pensieri, i tuoi desideri, i tuoi amori, gli avresti raccontato del tuo prossimo viaggio e dei tuoi progetti. Tanti!
Ed il mare con il suo sciabordio lento o più o meno agitato, con il suo colore azzurro cangiante fino a diventare blu o cremisi ti avrebbe detto se approvava oppure no.
Con la tua facilità del dire e del fare avresti recitato versi alla luna, felice di essere corteggiata da te.
Di sicuro non avevi previsto questa serata che raccoglie qui i tuoi amici e le persone a te care. Tu, che sei il festeggiato occupi il posto d’onore, non ti vediamo, ma ne percepiamo la tua presenza.
Personalmente ti porto l’abbraccio di Pina, Sara, Maddalena, Cristina, Annamaria, Mariella, Antonio Limoncelli, Filippo, Gaetano e di tutti quelli che ti hanno conosciuto a Capo d’Orlando.
Ti porto il saluto felino di luna e milord, o Madonna ed Elton John come tu li avevi soprannominati.
Nella mia mente sfilano come sequenze di un film i momenti condivisi con te, persona unica e speciale.
Ricordo quando ti incontrai per la prima volta oltre 12 anni fa, mi colpì il tuo sorriso dolce e genuino. La tua semplicità cordiale.
Da subito, tra di noi si è instaurato un rapporto spontaneo, di fiducia reciproca che è cresciuto e cementato con il passare degli anni.
I momenti quotidiani passati davanti ad una tazza di caffè nero e fumante, in cui si chiacchierava del più e del meno, ma mai banalmente, hanno messo in luce i nostri ideali, molti dei quali coincidenti.
Sì Antonio, tu eri idealista fino al midollo e mai hai tradito i tuoi ideali! Avevi un tua idea precisa dei rapporti umani, specialmente dell’amicizia.
Per te l’amicizia era una fede e la vivevi con lo stesso fervore e devozione con cui il credente si accosta a Dio. Dagli amici ti aspettavi lealtà!
Mi ha colpito sempre la tua trasparenza diamantina, la tua onestà intellettuale, la tua lealtà, la tua ingenuità.
Detestavi il compromesso. Per te esisteva o il bianco o il nero, mai il grigio. Questo tuo modo di essere lo hai perseguito sempre e comunque, pagando un prezzo a volte altissimo.
La tua ipersensibilità ti portava a percepire prima degli altri e in forma più ampia i problemi, soprattutto quelli sociali.
Ti disgustava la superficialità. Aborrivi la prepotenza e l’arroganza. Ad un torto subito tu non replicavi, lo incassavi richiudendoti in te stesso.
Chi ti ha conosciuto, chiacchierato con te, riso con te, e come si rideva con te, non si ride con nessuno, è consapevole di aver perso una persona unica, meravigliosa.
Tu eri un artista! Un artista vero, geniale, e questo ti portava a vivere una dimensione diversa dagli altri, senza confini, senza pregiudizi, senza rancore né invidia, ma ricca di sentimenti e di vita. Una dimensione che trovava il suo sbocco naturale nell’arte, e in questi ultimi anni soprattutto nella scrittura, nella poesia.
E con una tua poesia ti auguro
BUON COMPLEANNO!!!

Guidami in questa notte
in cui il cielo è così vicino alla strada
da stringerla come paracarri
guidami via
ma non molto distante,
in questa Via Lattea scura
colma di sesamo e caffé nero;
guidami come se fossi cieco
e in canottiera bianca
come se fossi
un imbonitore senza niente da vendere,
un venditore di almanacchi lunari
e deserti in discesa.
Guida la mia mano
su un vetro appannato
su cui ho già scritto
“bello, come quando
una donna ti porta”.

Virginia Lenzo
5/04/2009
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AntonioBuon compleanno Antonio
05/04/2009

Ti immagino dentro una clessidra
Vedo fluire il tuo pensiero, la tua anima,
la tua sensibilità
i quali ti conducevano in modo esclusivo
ad avvertire lo scorrere del tempo
e a guardare dall’alto dei tuoi occhi
quel mare, emblematico direi
per rappresentare la luna, la notte
e anche il ritorno,
e tutto ciò giustifica una tua frase
“che nulla si crea e nulla si cancella”.
Dunque, tu sei vivo,
perché un vero poeta non muore mai.

Emilia Liotta
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“Nuovo viaggio”

 

Lo so che ci sarai, ci sarò

ma intanto aspettami

qui piove ancora pioggia

sulla strada già bagnata.

Ti ho raccontato di me di te

mi hai raccontato di te di me

tra il tavolo i tasti neri

e mille sigarette spente.

Fu subito luce come il giorno

profumo di zagara all’imbrunire

brillantina sui capelli bagnati

vistoso anello al dito.

E adesso che ti ho vissuto

e mi sei maglia di lana

nelle lunghi notti d’inverno

ti lasci volare foglia nel vento.

Adesso che ti sento forte

e hai sconfitto il tuo demonio

mi lasci solo poche righe

e parti per un nuovo viaggio.

Ti incontrai ci incontrammo

tra il bicchiere e odor di mare

la musica sullo sfondo

gli occhi colmi di poesia.

Progetti e voli esilaranti

vibrazione delle membra

pugno dolce allo stomaco

occhi e anime che si fondono.

E fu melodia del mare

carezza fresca alla mia fronte

forte abbraccio alla solitudine

nebbia diradata al sole.

E adesso che ti ho vissuto

e mi sei maglia di lana

nelle lunghi notti d’inverno

ti lasci volare foglia nel vento.

Adesso che ti sento forte

e hai sconfitto il tuo demonio

mi lasci solo poche righe

e parti per un nuovo viaggio.


Soleamaro              
ciao Antonio, anzi arrivederci.
So che ci incontreremo ancora... Salvo
Campisi

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Forse molti non sanno quanto le nostre anime erano vicine, forse molti non sanno quanto i nostri cuori si volevano bene, forse molti non sanno con quanta energia crediamo nella nostra Amata Arte, forse molti non sanno quanto amavamo condividere la nostra arte in modo genuino... tu sei stato tra i primi a credere in me come artista a scrivermi le recensioni, a presentare le mie mostre ed io non dimenticherò mai nemmeno un attimo vissuto insieme, ricorderò ogni parola, ogni pensiero condiviso... le tue opere mi fanno compagnia, tra i muri di casa mia... e molte volte mi sembra impossibile ke tu non ci sia...
 
 Buon Compleanno di vero cuore Antonio!


il tuo cerbiatto di sogni Valentina Mammana
 5 Aprile 2009
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Ho il cellulare di Antonio.
Vorrei chiamarlo, ma so che non mi risponderà Ho i ricordi di Antonio; e ho anche i miei ricordi con Antonio. Vorrei dirli, ma non so se riuscirò a dire anche chi è veramente Antonio per me. Il breve tempo, forse. O, forse, la ripugnante sensazione di trovarmi a far scena, come il solito imbecille.
Ho il Blocco Notes d'Artista di Antonio; il mio primo blocco notes. In cui ho scritto una breve nota, per dire che l'artista, con la sua opera, si nega: c'è l'opera? Non c'è più l'artista. E con questo scarno convincimento, io e Antonio ci siamo incatenati l'un l'altro, per sempre. Sì, io e Antonio. Perché Antonio ha continuato "in segreto" il suo Blocco Notes d'Artista.
Non eravamo grandi amici, io e Antonio. Eravamo di più... Avevamo entrambi la sensazione di scrutarci, come le stelle, da lontano; siamo stati "amici stellari", come direbbe Nietzsche. E, per questo, non ci siamo mai né invidiati, né odiati, come capita sovente ai cosiddetti grandi amici. Ma, non ci siamo neppure amati: abbiamo invece amato molto la nostra opera.
Nessuna consolazione, dunque. L'opera, come tutti sappiamo, è sempre "in opera". E con essa, come tu, Antonio!, dici, nonostante la vertigine del foglio bianco ... c'è ancora molto da dirsi.
E, allora, Antonio, buon lavoro!


Orazio Parisi

3-4-2009
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E' morto un poeta vero! Ma i poeti veri rinascono proprio con la morte. E' dopo la morte che, spesso, rivelano tutta la loro luce. Sono come un estremo ossimoro!
Lo sfiorai una sera, una di quelle meravigliose sere di Avola in laboratorio. Mi ricordo che parlammo e non ricordo esattamente gli argomenti. Quello che chiaro mi è rimasto in mente, è la sua consistenza umana. Antonio è uno di quelli che, quando l'incontri, non ti lasciano mai indifferente. Appartiene al numero di coloro che li ami o li odi; a coloro che possiedono un'aura speciale, che avvolge nel suo calore e ti fa sentire amato. Un'aura misteriosa che, forse, è l'essenza stessa dell'umanità, che in lui si rivela senza sforzo.

Buon compleanno Antonio!

Alfio Santocono
2-4-2009
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Non conoscevo Antonio profondamente, ricordo qualcosa ai tempi della scuola media.
Ho appreso solo adesso di cosa ha fatto e delle sue qualità. Non posso che unirmi al profondo dispiacere di tutti e lo saluto con un semplicissimo
ONE ONE (chi si ricorda lo sa).

Antonino Campisi
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E così
quando gli altri t’avranno dimenticato
noi ti ricorderemo
quando l’ipocrisia sarà passata
noi ti saremo autentici
quando gli altri avranno finito le parole
noi prenderemo il pensiero
il pensiero, l’unico superstite mentre tutto scorre
il pensiero, per pensarti mentre tutto scorre.

Leonardo Miucci
Avola, 12 febbraio 2009

un ricordo semplice in ricordo di Antonio
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Ninna nanna dei poeti

Prima di prender sonno
ho tempo per pensare.
Seppur mi guardo intorno
sento la mente andare.

Ed io che in cuor mi sento
l’ombre leggere e il canto,
vorrei che fosse il viaggio
eterno e senza pianto.

Gelido spira il vento
in odor di tramontana.
Eppure ascolto il rantolo
d’una misera campana

che spegne appena l’eco
nel triste divenire
di un’anima ribelle
che non sa più dormire.

Avola, 15-02-2009

Nino Muccio
In ricordo di Antonio Caldarella
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Per Antonio
Si è spento un poeta.
Ancora un altro. Sì uno dei tanti, ma non uno qualunque. Antonio era un uomo di forte personalità, con spiccata propensione alla individualità. Essenzialmente era un artista, con l’animo impregnato d’arte sino all’inverosimile e nella sua vita ha realizzato queste doti innate. Ha fatto teatro, cinema, recitazione; ha scritto e pubblicato varie raccolte di poesie, apprezzate dal pubblico e dalla critica perché spontanee, belle, sentite. Versi tutti germinati nel cuore e filtrati dalla mente.
Sono pochi gli uomini che possono fregiarsi di essere vissuti nell’arte e per l’arte come Antonio.
Sono pochi coloro che hanno realizzato il desiderio più o meno occulto di occupare il proscenio del teatro assaporandone il gusto della recitazione, di stare avanti la macchina da presa del cinema, vivendone il mondo particolare, di girare in lungo e in largo il globo per realizzare reportage e ancora per impegnarsi in teatro e cinema.
E poi chiudersi solo con se stesso – in quella “isolitudine” che solo noi siciliani conosciamo – a meditare, riflettere, leggere, quindi annerire un foglio bianco con bei versi, frutto di dialogo, prima con sé e poi con gli altri: fine e mezzo della buona e vera poesia.
Questo era Antonio, ma non solo questo. Era anche e soprattutto un amico vero, di quelli che dell’amicizia ne fanno una sorta di religione e non tradiscono mai, anzi trovano la parola e il gesto opportuni per aiutare nei momenti difficili.
E a proposito di momenti difficili, Lui ne ha patiti abbastanza, fin troppi, tutti comunque vissuti e superati con grande forza interiore, aggrappandosi all’arte – sua vera ragione di vita – che lo ha alimentato momento per momento. Antonio anche per questo merita la stima e l’ammirazione di tutti. E ora che la sorte lo ha sottratto all’affetto dei suoi cari e degli amici, l’immagine pura e limpida di questo bel giovane  resterà viva nel ricordo di Lui e della sua opera poetica che rimane impressa in modo indelebile – in chi come me ha avuto il privilegio di conoscerlo – anche a futura memoria. Se la memoria ha un futuro.
Giovanni Stella
Avola 12/2/2009
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Pensami tra gli angeli

Non piangere per me,
tu, mio caro padre,
e lei che come te,
sfiorava le mie mani.
Sono adesso di luce
senza più lacci.
I miei anni perduti,
per Lui son ritornati.
Leggo nel tuo cuore,
la pena e il grande amore,
ma io che vedo te,
adesso vedo il sole.
Perdonalo Signore,
è il mio papà, il migliore.
Mi puoi sentire in sogno,
padre del dolore?
Sorridi e non voltarti.
Abbraccia forte lei,
e pensami tra gli angeli.

Domenico Giansiracusa

11 Febbraio 2009
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Antonio mi è scivolato dalle mani, ma non dal cuore e nonostante il ricordo del dolore sia ancora dolore, penso che  la poesia debba essere come pane fresco e deve essere letta anche da amici sconosciuti sui treni, o sotto i castagni nelle piazze dei villaggi.... Lui  ha avuto la fortuna di unire mestiere e passione, che secondo Stendhal equivale alla felicità.      Lunga vita al poeta, lunga vita ad Antonio!

Cordialmente
AnnaMaria
Milano 9/2/2009
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Caro Ciccio
ho saputo ed ho letto della morte prematura di Antonio, il mio cuore ha pianto, ma ieri notte l'ho sognato sereno e felice, perché dove è lui che ci ha preceduti un giorno anche noi andremo.
La sua morte Terrena è solo un inizio per una eternità, anzi è un riprendere il cammino di santità dell'anima. Dal Ganeden alla terra, dalla terra all'Eden e Antonio continuerà ad inoltrarsi in quella felicità tanto desiderata e alla perfezione tanto aspirata.
Certamente Avola, la Sua Famiglia, i Suoi Amici abbiamo perduto fiscamente Antonio, ma in Dio lo ritroveremo e lì Lo ascolteremo declamare inni al Signore.
Carissimo Ciccio ricordiamolo con gioia e preghiamo il Signore della Messe per Lui e per i suoi familiari.

Grazie di aver condiviso con me questo momento in ricordo di Antonio amico carissimo.
GIUSEPPE GIALLONGO CRAVE'
Milano 9/2/2009
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Sono stata sempre affascinata dalla sua figura enigmatica, dal suo essere ermetico, sebbene non abbia mai avuto la possibilità di parlarci. Ciò mi dispiace: Ogni volta che sento una notizia di morte di persone che a malapena ho incrociato nel mio cammino di vita mi pento di non avere colto l'attimo, di non avere approfondito la conoscenza. Mi trasmetteva una sensazione di grande ricchezza e fragilità allo stesso tempo...
Ciao Antonio, ti auguro di aver chiuso gli occhi, orgoglioso di tutto ciò che hai fatto e col cuore gonfio di gioia per avere amato....
Ognuno a modo proprio

Donatella Cianchino
7/2/2009
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DIETRO IL BANCO DI UN BAR
circa un anno fa...
Piccolo omaggio ad Antonio Caldarella

Grandi occhi di prugna
ampia fronte scoperta
lunghe ciglia ordinate.
Afferrano la tua volontà
la sbriciolano come biscotto
sul davanzale del tuo desiderio.
Morso di torrone morbido
sbavatura di cioccolato.
Messaggio in codice.

Spirali d'ambra
avvolgono la vista.
Turbinio di pensieri
infine riuniti in uno
incollato col miele di castagno
dei capelli.
Stupore fissato nell'obbiettivo
le labbra s’addolciscono d'espedienti
in attesa delle tue...

Anneli Berndt
6 febbraio 2009

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Per Antonio Caldarella

Antonio - quella mattina aveva deciso di raccogliere tutti i suoi guadagni -
Pochi ma sufficienti per girare l'Europa in treno - È chiaro che il suo
desiderio di sparire era diventato primario - Ricco di amici spesso sacrificava
tutto per loro - Ma adesso Antonio andava via senza avvisare o avvertire
nessuno di loro, solo la Morte - La Morte appartiene alle cose naturali del
cammin di nostra vita - ogni tanto diceva il buon Antonio - Prese un treno - il
più antico - per iniziare il suo viaggio in compagnia della bellissima ed
attraente Morte - Indossava un vestito elegante con nelle mani una valigia ed
un calice per il buon vino rosso - Il treno si fermò alla stazione di Campigno
in quanto doveva essere demolito perché non corrispondeva ai canoni della
modernità - Fu sostituito da uno strano uccello meccanico super - veloce ma in
quel nuovo treno non c'era amore - Antonio si sedette stanco e poeta in una
vecchia panchina e cominciò a leggere i Canti Orfici di Campana - Si
addormentò - Per sempre -

Giovanni Boncoddo
6 febbraio 2009
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Mi mancherai
come le lune sfogliate dal vento
possano un giorno smettere di colorare i miei cieli..
..come un giorno le tue parole
possano smettere di arrivarmi al cuore..
..i tuoi auguri, le tue poesie, le emozioni
che periodicamente mi rendevano parte di qualcosa di grande..
..mi mancherai davvero Antonio
le tue parole sono state per me
leggeri palmi di vero conforto..
come si fa poi a dire che te ne sei andato in silenzio?
i poeti non vanno via in silenzio,
alla loro corporea assenza
sopraggiunge l’urlo delle loro emozioni scritte
che non possono farceli dimenticare
..ti cercherò seduto di spalle
su una panchina che guarda porti di mare
ti cercherò e, sedendoti accanto in quella panchina,
reciteremo la nostra ultima poesia..

Ad Antonio Caldarella

Antonio Rametta
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Saluto

Antonio

ti ho sempre apprezzato.

Tu non eri un personaggio

dei nostri giorni.

Un romantico,

nato in un'epoca in cui tanti

riescono a vivere senza ideali.

ciao Antonio

Gino Ficara
Bellusco 6 febbraio 2009

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Antonio ti avrei voluto abbracciare
Grazie Ciccio,
Oggi alle sette di mattina aprendo la posta elettronica, mi ha sconvolto questa notizia, ciao Antonio, ma come, tu, la tua sicurezza di allora non mi faceva immaginare la tua insicurezza di oggi, cioe' di ''ieri'', difficile da capire questo giro di parole, ma un po' triste sentire i tuoi versi pieni di sensibilita', bonta',amore per la vita. Ti avrei voluto incontrare, sai, per dirti come siamo cresciuti, strade separate, ti ho sempre ammirato e avuto anche un po' d'invidia, ricordo il tuo HARLEY DAVINSON (la tua moto, poi la vespa,) eri per me un mito. Allora uno dei primi ad avere di piu' dalla vita, e t'invidiavo.Ti ricordo Antonio al quartino ri finucciaru, quando arrivavi ad Avola, la nostra estate avolese, e t'incontravo, mi raccontavi del cinema, del tuo essere attore, ed io, in mente pensavo, ma che fanatico, ed invece tu eri tu, lo volevi, ed io, cosa, figlio di operaio, quale non poteva immaginarsi piu' di tanto, ma ti ammiravo perche' nella tua semplicita' non mi guardavi con occhi differenti, ma mi accettavi cosi' come ero, eppure io ero di un altro ceto sociale, ma tu eri tu, l'Antonio che si voleva raccontare, l'Antonio che aveva conosciuto una altra realta' fuori di quella avolese, tu eri libero, si' Antonio sei stato un uomo libero. Alla fine hai raggiunto quello che volevi diventare. Bravo Antonio. Antonio ti ammiravo, mi identificavo in te, mi davi la speranza che se si vuole nella vita si puo' ricevere, anche di piu' basta volerlo, tu l'hai ricevuto, e qui non c'entra proprio l'essere nato con la camicia, o l'essere figli di PAPA'. E allora che pensavo, un giorno anch'io andro' via da questo posto, che non da' niente e non offre niente, si' solo il grande mare di cui tu mi hai fatto vedere nel You Tube. ''Noi siamo come le onde che partiamo da lontano spinti da una grande forza, coscienti che ci andremo a schiantare sulla riva, e che diventiamo ad un tratto piccole bollicine, e di nuovo una forza ci riporta indietro, per poi ripartire''.
Noi onde.

Ad un mio conoscente, amico andato alla casa del padre

Tu Antonio, uomo che hai riflettuto sulla realta'
e hai cercato d'interpretarla
tu che ti sei avventurato nella tua mente
tu che hai provocato la curiosita',
la divagazione mentale, l'illusione, la fantasia,
tu Antonio
che hai abbreviato
nei tuoi testi la possibile concreta
esperienza delle cose
della tua esperienza oggettiva
tu che
hai consentito attraverso i tuoi scritti
di valutare l'operato dell'uomo
cio' che riaffermavi nel ricordo, nella riflessione
si connota come esperienza
le parole tue scritte messi insieme
come metafora del mondo e della natura.
Il mondo che sorge in virtu' del pensiero
e non di visione, ce l'hai fatto un po' vedere.

Un tuo conoscente
Mario Caldarella
Varsavia 04.02.2009
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'... no, per il mio amico non ti deve dispiacere... questo e' l'errore che comunemente si fa nell'esprimere il proprio cordoglio.... non ci e' dato sapere se lui si sia reso conto dell'attimo in cui sopraggiungeva la morte o no, se abbia avuto paura, se abbia cercato di fare ancora qualcosa, avvertire qualcuno... non lo sapremo mai... Tu sei dispiaciuto per me in questo frangente e addolorato per te stesso per la scomparsa di tuo fratello. Noi siamo cosi' attaccati alla vita che ci risulta cosi' devastante accettare la morte... la morte di una persona giovane...
delle persone anziane ce ne facciamo una ragione, e' nel normale ordine delle cose, ma la scomparsa prematura e' sconcertante, non fa parte del gioco, almeno ai nostri occhi di poveri comuni mortali e credenti deficitari...
cosi' senza preavviso poi, non hai neanche il tempo di abituarti all'idea che una grave malattia ti stia lentamente rubando un grande affetto.

io amavo il poeta Antonio Caldarella, amavo le sue poesie, interagivo con lui su MySpace, gli ho scritto sempre e solo in versi, adattando i miei alle sue poesie, o scrivendone nuovi, solo per lui, dedicati a lui, versi che si incuriosivano, lambivano, accarezzavano, intrecciavano... un rapporto carnale sulla carta... e ho davanti agli occhi il suo grande sorriso quando mi ha conosciuta in carne ed ossa...
come fare a meno di un'intesa simile? come fare a meno dell'affetto, della complicita' tra due individui che col magico tramite della poesia avevano continuamente tanto da dirsi, come non disperarsi dell'assenza di un fratello al quale volevamo tanto bene, quasi impronunciabile questo sentimento, cosi' esclusivo...
siamo su questa strada punteggiata da mine, ogni tanto ne esplode una, basta una goccia di pioggia, anche solo una goccia del nostro sudore, quelli che fortunosamente non sono ancora saltati in aria fanno i conti con le contusioni per essere comunque passati troppo vicini alla deflagrazione...'

'... sai, sono solo molto confusa... uno dice o pensa mi dispiace per chi e' morto ma in fondo perche'? dispiace perche' il morto non c'e' piu'... questo si', certamente... ma il morto, lui, chissa' dov'e' adesso... se ha avuto paura di morire, se se n'e' accorto, se ha percepito il momento in cui se ne stava andando, se abbia pensato ancora ma che sta succedendo, che MI sta succedendo... e ora come faccio?? ho ancora tante cose da fare!! non ho pagato il canone della tv, sono gia' in ritardo di due giorni...
che stronzate... che confusione... seppur gli ultimi istanti possano essere stati cosi' convulsi nella sua mente, immediatamente dopo tutto e' finito... il dolore resta ai viventi
e' strano, un concetto cosi' semplice e che difficolta' ad esprimerlo, che fatica stare a galla...
si', mi fai coraggio, grazie! e' una grande perdita, sai? ... si', lo sai!'
Anneli Berndt
Taormina 4/2/2009
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Avola, 4/2/'09

Antonio carissimo,
venerdi' della settimana scorsa non avrei assolutamente immaginato che ci incontravamo per l'ultima volta. E' successo per una di quelle combinazioni che abitualmente chiamiamo caso, ma che io so, come ora lo verifichi anche tu, caso non e'. Entrato in libreria, a salutare Ciccio, dopo qualche minuto ti sei presentato in linea elettronica, disponibile agli amici. Ciccio si e' subito collegato e mi ha invitato a parlarti e a vederti sullo schermo, cosi' come tu vedevi noi, mentre ci parlavi da Capo d'Orlando, dove ti trovavi. Avevi il sorriso radioso e aperto di sempre ed eri contento di incontrarti con noi. Ci hai salutato, alla fine della breve conversazione, accompagnandoti con un gesto della mano, rispondendo al nostro saluto e dicendoci: ci vedremo la prossima settimana; lunedi' infatti verro' ad Avola. E tu sei stato di parola, puntuale. Non ci avevi detto pero' in quali circostanze ci saremmo incontrati. Che brutto scherzo hai giocato a noi tuoi amici!
Mi ci son volute ventiquattr'ore, per poter riprendermi dal colpo e trovare la misura necessaria a poterti dire, davanti agli amici comuni, quello che vivo e rivivo in questi momenti.
Ti ho conosciuto quando eri adolescente, studente al Liceo scientifico della nostra citta'. Io, insegnante in classi diverse dalla tua, ti vedevo, durante la pausa ricreativa, giocare a pallavolo con i tuoi compagni nel cortile interno ai locali indicati comunemente come ex pretura in via Mazzini.
Spiccavi fra tutti per bellezza, energia e agilita'. Si vedeva che eri pieno di vita e voglioso di affermare la tua personalita'. Soltanto molti anni dopo potei conoscerti da vicino e aver consuetudine con te nel parlare di interessi comuni e dei nostri reciproci impegni umani e culturali. Cio' fu reso possibile dall'ospitalita' offerta a tanti di noi da Ciccio nello spazio della sua libreria e negli incontri che con noi organizzava gia' da prima che tu tornassi da Napoli, dove avevi condotto gli studi. Da allora potei apprezzare le tue qualita' umane, prima ancora che le tue poliedriche capacita' artistiche. E' successo anche che abbiamo fatto delle cosette insieme nel corso degli anni. Per qualcuna di esse mi hai anche ringraziato pubblicamente, cosa della quale ti sono grato. Nel 1994 mi chiedesti di tradurre in siciliano per te la breve piece di Harold Pinter Voci di famiglia. Cosa che feci volentieri e in breve tempo a Milano durante la mia permanenza cola' per l'impegno con gli esami di Stato. Avevi fretta tu, infatti, di avere il testo tradotto, in vista di un impegno scenico che avevi in progetto. Mi intrigo' molto il testo pinteriano da te scelto, e da allora il nostro rapporto amicale divenne piu' solido, nonostante il pudore, da parte tua, e la discrezione, da parte mia, non ci abbiano consentito una piu' profonda familiarita' di rapporto. Cio' pero' non mi ha impedito di conoscerti e di apprezzarti nelle manifestazioni della tua complessa e fragile personalita' di uomo e di artista. Mi sono state di insegnamento la signorilita' e la fedelta' con le quali hai rispettato l'amicizia verso di me, anche in circostante che dall'esterno avrebbero potuto influenzarti negativamente. Di questo ti ringrazio, ammirato della tua intelligenza e della tua discrezione.
In circostanze come quella che tu stai facendo vivere a noi tuoi amici generalmente la commozione gioca brutti tiri e tende a istradare verso il sentimentalismo e la retorica. Cose, queste, ingiuste e inopportune sempre, perche' vanno a discapito della verita' e dell'onesta', ma quanto mai fuori luogo davanti a una persona come te, vissuta sempre al di la' di simili atteggiamenti e al di la' delle convenzioni, quand'anche queste fossero socialmente d'obbligo. Tu, infatti, sei stato diverso dalla comune misura degli uomini in circolazione. In te c'e' stato un sigillo particolare che ha informato la tua vita, caratterizzando il tuo speciale costrutto di uomo. Sei stato con noi, ma appartenevi a un'altra categoria. La tua innocenza, la tua purezza di spirito, il tuo stupore davanti alla vita, al di la' delle tue debolezze e delle tue fragilita', che sono poi piu' o meno quelle di tutti, nel momento stesso in cui ti hanno reso indifeso davanti alla logica pragmatistica imperante nel mondo, ti hanno reso testimone di verita' profonde non a tutti immediatamente accessibili, a causa della corazza che generalmente un po' tutti ci costruiamo addosso per difenderci, ma che diventa fatalmente, nella maggioranza dei casi, la prigione personale che ci opprime e ci chiude agli altri, e di conseguenza alla vita autenticamente concepita e vissuta. Il tuo spirito si opponeva a che le dita delle tue mani di uomo si deturpassero, degenerando in bozzacchioni di rozzi e ''arpieschi'' artigli, adatti solo ad arrampicarsi sulla ''crosta'' terrena, e ha permesso invece che si sviluppassero nella forma di penne d'ali, quelle ali che ti hanno consentito di volare alto, molto piu' in alto rispetto a tanti altri. Tu sei poeta, non tanto perche' hai lasciato traccia scritta del tuo spirito vitale, quanto perche' poeticamente sei vissuto tra noi, in un mondo che della poesia della vita, cioe' della creativita' vera, reale, autentica all'interno del tessuto delle relazioni umane, e' portato a ridere, se non a sghignazzare, vittima com'e' della sordita' interiore che lo tiene prigioniero.
Antonio, di tutto questo ti rendo testimonianza e voglio ringraziarti, restituendo a te la parola, prima di salutarti:

eppure domani saro' di nuovo libero
di andar via
verso altri porti
e indossare nuove nebbie
bagnare i piedi
in battigie gelate
e ridere
e cantare
e piangere
e stringere
e lasciare biglietti
su piccoli specchi
e incidere
il mio esser solo
sulla corteccia del nuovo anno.


Da La luna sfogliata dal vento, XXXVI

Sebastiano Burgaretta
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Amareggiato per quanto accaduto, spontaneamente dedico queste parole per dimostrare il mio affetto e quanto lui abbia condiviso con me delle sue esperienze. Mi prendo il diritto, forse inopportunamente, di parlare a nome suo con questa poesia, facendomi tesoro di quanto abbiamo discusso nelle mura di casa sua, dalla poesia al cinema e al teatro, dai successi alle sconfitte quotidiane, dai dolori alle cose effimere della vita. Partecipe del suo operato e ''operante'' nella sua vita come lui nella mia, voglio far conoscere quanto Antonio sia significato per me: maestro e buffone.
Ad Antonio, mio caro amico

Cristian Patanè

Vigilia senza attenti suonatori
di storie pompate dalle strade forestiere
Ci prende a cantare, un giorno di sera
dove la mia morte fa il segno alla croce
e a mia madre dice che non ho ragione
a volermi tirare giu' i calzoni
per la paura di sentire troppo amore
Le cene sono imbandite
i merletti stirati senza sale,
le bimbe non sono di cera nera
a pie' di porco, sbavato solfeggio
ceduto mi ha il suo grande ritegno
Il crepuscolo
fa fatica ad uscire dal compenso della brina
Ci credo che non si fa toccare
non ha una canna da cui poter sparare
le invettive con cui, stuprata
si trova a farsi flagellare

Hop hop hop

Non ho piu' tempo per giocare
Volevo andare a casa a prima sera
ma la cordicina si trova a mezza sbarra
dal mio essere scarpina
al fango molle di una canzone

Hip Hip Hip

Ecco la morte
non fai piu' il segnale

Ad Antonio
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Quando...

Quando uno di noi
ritorna dove c'e' il silenzio
e niente piu' parole,
un po' piu' orfana la vita
e piangono le rose.
Il cielo e' grigio,
anche con il sole.
Le cose abbuiano,
e' notte,
quando uno di noi,
muore.

Domenico Giansiracusa
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Strana la vita Ciccio
oggi dopo tanti rimandi ho trovato ed acquisito delle
vecchie diapositive di Napoli per condividerle con vecchi compagni di viaggio, su Facebook.
Tra queste un Antonio sul palcoscenico di un centro sociale che oggi esiste solo nei nostri cuori, che recita le sue poesie spargendole sul palco come semi...
Cosi' per offrire un ricordo e un sorriso e sapendo di fare
cosa gradita, sono andata nella sua pagina per pubblicare la foto amara scoperta...
Antonio vive nei nostri cuori.

Strana la vita Ciccio
perche' questo percorso alla ricerca di un amico
mi ha portato sul tuo sito: libreria ad Avola, ricordi, ricordi di infanzia...

Alessandra
(figlia secondogenita di Annamaria - che chiamavate Sandra)
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Voce di chi ti parla nel silenzio, oltre la nostra vista non vediamo, non ascoltiamo siamo sordi a chi con un po' di lettura ci offre il cibo  quotidiano per non essere esuli in questa terra soprafatta di egoismo ed errori verso il prossimo.
Il fato e' come il vento, soffia e porta via con se', senza lasciarne traccia, i nostri amici, i nostri cari, i nostri nemici.
Questa e' la vita.
ESSERE NON ESSERE ma tu carissimo ANTONIO  C'ERI.
CON LA TUA POESIA OFFRIVI UNA PARTE DEL TUO CUORE RIVOLTO  A CHI VUOLE ASCOLTARE PER CAPIRE ED AMARE IL PROSSIMO.
GRAZIE ANTONIO.

FABRIZIO MONTALTO
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