 
Giuseppe M. Conte, Noi di Inessa – Rime barbare, 2024, 8°, pp. 64, € 12,00 – ISBN 978-88-6954-362-3  
In questa silloge l’autore sogna il ritorno alla vita, alle immagini, ai culti, alle passioni, alle origini di una terra antica, la città di Inessa sacra e nobilissima, luogo che in età classica aveva ospitato la stirpe greca dei Dinomenidi. Popolo che in quel lontano secolo ascoltò i canti di Pindaro e di Stesicoro e poté assistere ai cori di Eschilo. Territorio e cultura che, nei secoli successivi, scomparvero dalla scena del mondo per una serie di oscure circostanze e di frequenti impietose crudelissime guerre.
Di Inessa, oggi, sopravvivono il toponimo (così ricorrente nelle narrazioni degli storiografi), cadenze linguistiche a tutt’oggi persistenti nella parlata locale e alcune probabili tracce archeologiche.
Giuseppe Conte (Marius è l’eteronimo).
Allievo di Carlo Grabher, di Giorgio Piccitto, di Quintino Cataudella e di Santi Mazzarino, nell’Università di Catania, consegue la Laurea in Lettere Classiche con una tesi sui saggi londinesi di Ugo Foscolo.
Professore di Letteratura Italiana e Latina e Preside del Liceo Scientifico e Classico G. Galilei di Legnano, esordisce, giovanissimo, con testi teatrali.
Scrive articoli per la stampa periodica, saggi storiografici, traduzioni da Paul Valéry e da Jules Laforgue, racconti, poesie.
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Giuseppe M. Conte, La risacca – Poesie e prose, 2023, 8°, pp. 64, € 12,00 – ISBN 978-88-6954-359-3

Con quest’ultima silloge, La risacca, l’autore racconta in versi e in prosa le ragioni di un quotidiano apparentemente “minore” e le sue idealità. Vicende di vita e di pensiero.
Giuseppe Conte (Marius è l’eteronimo) nasce a Motta Sant’Anastasia. Allievo di Carlo Grabher e di Santi Mazzarino, nell’Università di Catania, consegue la Laurea in Lettere Classiche con una tesi sui saggi londinesi di Ugo Foscolo. Professore di Letteratura Italiana e Latina e Preside del Liceo Scientifico e Classico “G. Galilei” di Legnano, esordisce, giovanissimo, con lavori teatrali: Lettera a Caino (1955); I figli della terra (1956) e successivamente (per la collaborazione del figlio Alessandro, attore) con Le figlie del sellaio (2009).
Scrive articoli per la stampa periodica, saggi storiografici, traduzioni da Paul Valéry e da Jules Laforgue, racconti, poesie. Pubblica: Mocta Sanctae Anastasiae (1979), Oltre le colline dei Sieli (1984), Epigrafia inedita (1989), La fine di una baronia (1990), In vita e in morte di una patrizia romana (1991), I garofani in collina (2000), Marbrées (2001), La melagrana ossia la disegualità (2008), Il sogno di Eliàde (2010), Vele d’Africa (2019), Il barone e altri racconti (2020), I doganieri di Leukos (2022).
Giuseppe Marius Conte vive a Legnano. |

Giuseppe M. Conte, I doganieri di Leukos – Poesie, 2022, 8°, pp. 56, € 10,00 – ISBN 978-88-6954-355-5 
La breve silloge I doganieri di Leukos (POESIE) vuole essere un contributo alla rappresentazione della sofferenza, per gli effetti di una barbara guerra: le devastazioni dell’arte e della bellezza, lo stravolgimento di un popolo ferito nella sua dignità.
L’autore spera che queste pagine vengano accolte come concitato appello alla coscienza civile. Nella convinzione che la poesia, insieme con altri manifestamente più importanti strumenti di pacificazione, potrà continuare ad essere quello che pretende di essere: uno spazio ideale, la palestra del buon cittadino, il luogo dove si ha voglia di portare – con la voce dell’esperienza – anche e soprattutto i motivi della speranza.
G.M.C.
Giuseppe Conte (Marius è l’eteronimo) nasce a Motta Sant’Anastasia. Si laurea a Catania in Lettere Classiche con una tesi sui saggi londinesi di Ugo Foscolo. Vive a Legnano. Docente di storia letteraria, ha prodotto lavori per il teatro (Lettera a Caino; I figli della terra; Le figlie del sellaio, monologo, atto unico, elaborato e portato sulle scene dal figlio Alessandro, attore, nel 2009). Ha pubblicato: Mocta Sanctae Anastasiae (1979); Oltre le colline dei Sieli (racconti, 1984); Epigrafia inedita (1989); La fine di una baronia (1990); In vita e in morte di una patrizia romana (1991); I garofani in collina (studio di una lingua popolare,nella piana di Catania, 2000); Marbrées (poesie, 2001); La melagrana ossia la disegualità (saggio, 2008); Il sogno di Eliàde (poesie, 2010); Vele d’Africa (poesie, 2019); Il barone e altri racconti (2020).
NOTE DI CRITICA
Mentre nuvole nere s’addensano nel nostro pianeta la tua vena poetica, caro Giuseppe, va in profondità nel descrivere il dramma d’un popolo. Realtà dolorosa che inonda di tristezza il mondo occidentale ed impaurisce anche quello orientale. La tua poesia, ricca di venature classiche, mi ha colpito per il dolore che si sprigiona dai tuoi versi ma anche per la speranza, amore per la vita che si fa strada fra tante turbolenze.
(prof. Giuseppe Francaviglia. Roma)
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Caro Pippo, ho appena finito di leggere il tuo libro, e devo subito dirti che ne sono stato molto colpito:è un libro compatto, ispirato, che vede le tragedie della storia, e la tragedia della guerra in Ucraina che oggi ci attanaglia, nella luce incandescente della poesia. Ho apprezzato tantissimo il passaggio tra il presente e il passato lontano, greco, con il riferimento a Sparta e alle Termopili, il tono lirico e epico insieme, tra Simonide e l'Iliade, il coraggio della pietà , come nei versi dedicati al soldato nemico Dan. Dalle ceneri del male si esce, se c'è pietà, speranza e poesia. Immagini che mi hanno toccato, e di cui condivido pienamente lo spirito, sono quelle del "bimbo nudo appena nato", del" fiore rosato del melograno ", simboli di continuità della vita, perché " la morte non avrà dominio"(Dylan Thomas) e come hai scritto tu in un verso perfetto "E niente muore perché tutto è perenne". Grazie dunque caro Pippo della lettura che mi hai offerto, le mie felicitazioni e un saluto affettuoso.
(Giuseppe Conte, da Sanremo. 04.10.2022)
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In questa straordinaria silloge di 16 componimenti che, come è stato scritto, giustamente ricordano gli epilli di età alessandrina, Giuseppe Marius Conte ha mirabilmente cerchiato il dolore, la capacità di sofferenza, l’orgoglio del popolo ucraino attraverso personaggi (alcuni a lui legati da affetto parentale, altri sconosciuti) e luoghi (monti, fiumi, campi) del caratteristico paesaggio ucraino.
La tempesta di fuoco che ha investito l’Ucraina ha portato morte e distruzione, ma ha forse ucciso anche la speranza?
Si illude forse il poeta che i suoi versi possano fermare i carri armati o far deviare i missili?
Niente di tutto questo. La poesia, purtroppo, non ha questo potere. Il suo compito, se ne ha uno, è quello di tenere accesa la speranza con parole che si radicano nel cuore: “Nessuna cosa dell’esistente muore per sempre/. E niente muore perché tutto è perenne”. E ancora: “Quando poi tutto si sarà placato… non più il grido di dolore/ senza speranza/ di chi non vuol morire”.
Tenere accesa la speranza, credere che comunque il dolore cesserà, che la pace e la giustizia tra i popoli prevarranno, è possibile solo se il mondo non farà mai a meno della Bellezza, la quale diventa il punto in cui si chiude il cerchio dell’esistenza di un individuo, di un popolo, di un’epoca storica. E’ come l’ultimo tratto che viene dopo momenti parziali, alti e bassi, positivi e negativi, che fanno parte della vita.
Possiamo dunque accogliere con commozione l’invito a Nikolaij, il bambino di Kharkiv, di salire quella scala favolosa dove troverà suo padre, il comandante, morto per la patria, là sulle cime, a cavallo dei venti, quel padre che lo salutò sorridendo sulla banchina della stazione mentre lo faceva partire “verso la vita, verso la scelta, la (tua) libertà”.
Simili episodi di dolore si susseguono impetuosamente come le onde del mare: “Nastassja fugge con il suo bambino. Preda del vento/, non saprà dove andrà.”
Ma il dolore, la pietà e le lacrime sono anche per l’altra sponda, senza distinzione alcuna. Il giovanissimo Dan Melnikov, cittadino di Rostov, giace nei campi con il petto squarciato dalla mitraglia. I suoi commilitoni lo riporteranno in Russia.
Cosa resterà di lui?
Certamente lui, in vita, non aveva carezzato il pensiero della gloria.
Qualcuno ora glielo vuole imporre
(prof. Vincenzo Fiaschitello. ROMA) |
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Giuseppe M. Conte
Il Barone e altri racconti
Libreria Editrice Urso,
Collana MNEME n. 58
Avola 2020, 8°, pp. 160
€ 15,00 – ISBN 978-88-6954-259-6
Tempo passato, memoria e terra natia sono i tre cardini attorno a cui ruotano le storie narrate in questa silloge che si colloca senz’altro nell’ambito della migliore narrativa memorialistica.
Sette racconti più un’introduzione e un epilogo costituiscono l’armoniosa architettura di questo libro che raccoglie sia le memorie di un’intera comunità, quella di Rocca Dei Normanni e ne delinea al contempo alcuni aspetti di carattere storico sociale e di costume, sia memorie più personali e soggettive attinenti alle esperienze di vita dell’autore, fatte durante l’infanzia e la giovinezza che in particolare ne hanno segnato il carattere e determinato la vocazione alla testimonianza attraverso la narrazione letteraria. (…) La sensazione che ne ricava il lettore è come di aver concluso un viaggio quasi iniziatico che l’ha portato nel passato per prenderne coscienza e riappropriarsi così delle proprie radici.
Esperienza importante, soprattutto per i più giovani, in un’epoca come la nostra in cui ogni cosa muta rapidamente e rischia di farci perdere l’identità e la possibilità di costruire un mondo a misura d’uomo.
Maria Grazia Restuccia

Eloquar an sileam?
Commento al libro di Giuseppe Marius Conte, Il Barone ed altri racconti, Libreria Editrice Urso, 2020
La mia perplessità sul parlare o no della raccolta di G.M. Conte, Il Barone ed altri racconti, non deriva certo da dubbi sulla validità dell’opera, ma sull’opportunità che questo compito possa essere svolto, anziché da critici togati e provetti, da un ignoto ed inedito commentatore quale io possa essere. In realtà, dopo un’accurata lettura, la risposta non può essere che positiva.
Vale sempre la pena di leggere e dare attenzione ad un’altra delle tante opere di Conte venute alla luce nel corso degli anni.
Di che si tratta?
Una successione di racconti, inquadrati in un certo modo, ambientati in prevalenza in una terra, se non primordiale, sempre centro di valore antico e fondamentale per la cultura nostra, che si rifà agli ingegni più noti, Pirandello e Sciascia, per dire, e di tanti altri che non voglio enumerare.
Quale l’argomento che tratta?
Sono vari i motivi e gli scenari, non solo la Sicilia e i suoi problemi, che ritornano tutti quasi per un’attenzione naturale e spontanea all’ambiente ed alla cultura che fu la culla dell’Autore, vissuto prevalentemente sino ad oggi nella Valle dell’Olona, ma tornante sempre col pensiero alla nativa Valle del Simeto ed al Paese che lo vide nascere e crescere fino al momento del distacco. Egli lo chiama significativamente Rocca dei Normanni per sottolineare la lontana origine della sua cultura.
I personaggi?
Tanti, creati da lui, ma su uno stampo che non si allontana da figure familiari che hanno impresso un forte sigillo alla sua personalità di uomo e scrittore. L’andamento della raccolta, i cui episodi, espressi in una prosa viva e lessicalmente innovativa, sembrano procedere sul ritmo di un Coro del dramma antico. E tale è in fondo la struttura dell’insieme: un Prologo, un Parodo, una serie di Episodi e di Stasimi, e un Esodo finale; cioè, per tornare al moderno, un’Introduzione, una serie di novelle, e un Epilogo pensoso e problematico, detto “Vertigine” in rapporto alla impressione indotta in lui dai suoi pensieri. L’Introduzione ci dà la misura dell’importanza che assume la figura del nonno Marius, quale ispiratore e suggeritore delle vicende narrate. Essa vive sempre nel ricordo del nipote con la sua personalità rilevante, con le sue abitudini affabulative, con i suoi “tic”, dominando sempre la scena familiare con le sue creazioni narrative tratte da ricordi e fantasiose invenzioni. Quale l’idea che ci dà la lettura dei racconti, che hanno tra loro un forte legame? Un senso di solidità e coerenza, innanzitutto. Ci sono qua e là certamente delle pause di stile e di attenzione, come avviene in tutte le opere d’arte. Non dimentichiamo, in proposito, che anche ai grandi non sempre tutto è andato liscio, com’ è andata male persino alla Commedia dantesca sia nel secolo dei lumi, sia nella più vicina età di Benedetto Croce, che l’ha qualificata un insieme di parti creative e di retorica celebrativa.
Con questa osservazione chiudo il mio intervento. A nessun Autore si possono negare momenti di pausa, neppure, a detta di qualcuno, “al Poeta sovrano”, dato che “quandoque et bonus dormìtat Homerus”; ma la linea narrativa dell’opera che osserviamo è certamente autorevole e promettente per altri traguardi di maggiore spessore.
Raffaele Messina |
Ho apprezzato, nel lavoro di Giuseppe Marius Conte, i sapienti e precisi riferimenti storici, sociali, politici, economici e geografici, che fanno da supporto alla costruzione dei racconti. Racconti elaborati, dalla fantasia dell'autore, con la sua abituale eleganza. Linguaggio forbito, il suo, ricco di richiami letterari e di personaggi mitologici che invogliano alla riscoperta di memorie spesso sopite.
Una lettura scorrevole e piacevole anche quando si raccontano le travagliate tragedie della vita. Diverse nei modi ma uguali nell'intensità del dolore. Riportate con apparente leggerezza, pur nella loro enorme gravità. Mi permetto suggerire, memore del successo del monologo teatrale de "Le figlie del sellaio" (tratto da un suo precedente lavoro), di elaborare una versione teatrale del passaggio "Le ragioni di un Processo" che si legge a conclusione del racconto intitolato a Maria di Sangiuliano. Sarebbe gradito regalo ai suoi estimatori.
Certo che per lui scrivere è più una gioia che una fatica.
Salvatore Conte
Motta Sant'Anastasia giugno 2020 |
Caro Pippo,
volevo dirti che ho letto i tuoi racconti, e che ne sono rimasto davvero colpito, rapito, quello centrale, “Il Barone”, ha una sua ricchezza di temi davvero impressionante, e la vicenda assume man mano toni più drammatici, sia sul piano storico, con la persecuzione degli ebrei, sia su quello
personale del protagonista, bel personaggio a tutto tondo, sino all'epilogo da tragedia greca, con qualche riflesso foscoliano. Ma anche negli altri racconti c'è un gustosissimo modo di raccontare dove non so se vedere più Verga o Sciascia, o forse nessuno dei due, perché la valenza della memoria familiare appartiene a te e soltanto a te, come si vede bene nelle pagine introduttive e in quelle finali dove il tuo rapporto con Rocca dei Normanni ha un rilievo così forte: davvero una leggenda parla di ormeggi di ferro in cima alla Rocca come approdo per antichissime navi?
È un mito bellissimo.
E come resistere alla rappresentazione delle due statue di San Giuseppe delle due diverse parrocchie che si incontrano e ballano fronteggiandosi in un cimento magico e pagano ... (una volta a Trecastagni ho assistito alla festa di Sant'Alfio, e ci ho visto qualcosa di primordiale, legato a miti antichissimi).
Dunque grazie di avermi riportato a una Sicilia per me sempre fantasticata e amata, ma senza che io vi abbia radici più consistenti di un sogno... E di averlo fatto con racconti così amabili, che ti prendono e si fanno leggere pagina dopo pagina nella loro intensità.
Complimenti, allora, e un saluto affettuoso e un abbraccio
Giuseppe Conte
(Imperia, 15 novembre 1945,
è uno scrittore, poeta, librettista,
drammaturgo, traduttore e critico letterario italiano). |
Carissimo Giuseppe,
ieri ho ricevuto il tuo libro. Non sono riuscito a interrompere la lettura. Sì, tutto di un fiato. Straordinaria la tua scrittura.
Bello davvero quel filo rosso che lega tutti i racconti attorno alla tua Rocca dei Normanni!
È curioso, quel clima, quegli anni, che tu descrivi attraverso i personaggi, sono molto simili ai miei. D'altronde siamo vicini d'età e di... terra. Eravamo amici già da allora senza conoscerci. Io me ne stavo tra Scicli e Noto in quegli anni magici e avevo anch'io un nonno affabulatore.[...]
Vincenzo Fiaschitello
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QUEST'OPERA È STATA SELEZIONATA
NEL CONCORSO LIBRI DI-VERSI IN DIVERSI LIBRI IN MEMORIA DELLA POETESSA MARIA PIA VIDO
EDIZIONE 2018-2019
clicca sulla copertina per vederla in tutta la sua dimensione

Giuseppe M. Conte
Vele d’Africa
POESIE
2019, 8°, pp. 56
Libreria Editrice Urso
Collana "ARABA FENICE" n. 359, € 10,00 
ISBN 978-88-6954-221-3
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Vacilla il barcone
Vacilla il barcone
sotto il peso di corpi ammucchiati.
E il mare è un urlo.
E l’onda è vorace, le creste biancastre cancelleranno ogni segno.
*
Tra santi e briganti, più di cento, sapevano
tutti di essere in tanti,
pensavano tanti di essere eterni.
Erano sogni
di libertà. Ma ora gridi agghiaccianti.
Khadra…khadra… In ism, kunya, umm, nasab
Aziz…Najat..Jalila…
Saydha… Ihsan… Bahir…
Jamilah… E sulla pelle ferite e dolori
rancori
e sputi di sangue. Altro pianto.
A maledire le stelle.
Poi il silenzio
degli abissi.
Liberi
Il destino ti colse
in un punto.
Così la morte non è materia e non è più un sogno
fu la tua libertà.
Così la morte ti fece
libero.
Anche il bambino,
l’evanescente maghrebino,
appena nato
gettato in mare dal barcone in fuga fu reso libero
dai pesi del mondo.
Dalle fatiche. Dai suoi mali a venire.
Lo chiamarono il “Bello”.
Khalil.
La nuova bellezza.
Per ciò
che era stato
già suo padre prima di lui.
Ma che ne saprà lui che nel mondo alla fine non sarà?
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In “VELE d’AFRICA” è la rappresentazione – parte in versi e parte in prosa – di uno dei tanti avventurosi viaggi di popoli africani sulle carrette del mediterraneo
Al centro della silloge è la sequenza di undici stanze, una movimentazione visionaria, la tragica vicenda di Amina e Karim in angosciosa interlocuzione. Il testo che narra del sogno di due giovani protagonisti, nell’autonomia del libro, si caratterizza per le sue atmosfere surreali: una storia di amore e di morte, dove la morte non è mai vincente, non è insignificante cessazione del vivere; al contrario, è sempre celebrazione ed è consegna del più alto tributo alla continuità della vita. A trionfare su tutto, sul rischio, sulla fatica e sulle dolenti memorie, sul pianto e sulla mancata parola per ciò che si è perduto, è il divino eppur sanguigno desiderio del cambiamento, la sua forza motrice, la spinta audace volta a modificare per un miglior destino la nuda carnalità della storia.
In “Vele d’Africa” si racconta di una gente vigorosa, di giovanissimi e di bambini, di creature in solitudine, di vergini violate: tragedia di popoli che vanno con speranza al valico di frontiere difficili, verso l’Europa. Marea che monta. Gigantesca epopea del nostro tempo. Inarrestabile. |
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Un canto di dolore empatico e solidale, scevro di "complicatezze intellettualistiche" che “filma”, con brevi e penetranti “inquadrature” poetiche, sofferenze, aspirazioni, sguardi, aspettative, disperanti disillusioni... La poesia voce narrante racconta la fine del “viaggio” (tema così ricco di significati poetici) con l’infrangersi del sogno e il mare come cimitero. Il sentimento che permea i versi è lo smarrimento, l’angoscia e il senso di naufragio interiore del poeta stesso ma anche di un affondamento morale collettivo, un naufragio di coscienze, le nostre… Un brivido. Complimenti al poeta Giuseppe Conte.
Nina Esposito
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Il colore blu notte intenso di questa copertina è risaltato al mio immaginario come qualcosa che sta in ombra, in oblio, con ricordi recenti di cose perdute e anche l’immagine del mare che, solitamente dà gioia e vitalità, a ben osservarla, mi ha dato una stretta al cuore con quell’infradito spaiato abbandonato lì, nella sabbia, persino le vele in lontananza non ispirano brezza e leggerezza, come sempre accade...
Ancora un poeta che giunge ad Avola da lontano, dalla Lombardia, sia pur, come leggo, di origine e formazione siciliana.
Il suo canto e il suo grido è molto vicino alla terra di Sicilia, perché nei suoi versi ascoltiamo le urla, i gemiti, i pianti, che ormai da troppo frequente si levano vicino alle sue coste, dai barconi, dalle carrette della speranza, dall’orrore durante i naufragi dei disperati in cerca di un domani che futuro non ha, di sogni, fatti di schiuma che il mare inghiotte, come un castigo immeritato, crudo e crudele.
Giuseppe Conte non è nuovo alla scrittura ed alla poesia e di sicuro sarà interessante immergersi nella sua silloge, poiché l’assaggio che ne abbiamo in “Vacilla il barcone”, fa presagire piacevoli immersioni nella sua lettura.
Mariapina Astuni
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Si dice comunemente che il 17 non porti niente di buono, cerco la nuova copertina e su di essa trovo raffigurato il mare... che strano!
È calmo ma m'inquieta! Non vedo ombrelloni, non vedo bambini con paletta e secchiello prendere sabbia per costruire castelli, non vedo barche di pescatori, solo una ciabatta piantata sulla sabbia quasi a segnare un passaggio, un punto di arrivo e di noi ritorno!
Leggo scritto a caratteri cubitali, su un colore blu oceanico "VELE D'AFRICA". Ora tutto è chiaro ed il pensiero vola ai tanti barconi che toccano terra senza mai approdare, alle tante vite perse, a quelle approdate e mai completamente accolte, a quelle accolte e poi vendute, a quelle che con onore e fatica fanno ormai parte della nostra vita.
L'autore è Giuseppe M. Conte che "approda " da Legnano. "Conte" è un cognome siciliano dico, non potrebbe sentire così fortemente il mare se non avesse il mare tra le sue radici... Ah! Ecco ora vedo, è nato ed ha studiato in Sicilia! Comincio a leggere "Vacilla il barcone”.
Un nodo forte sento alla gola e penso ad un poco di anni fa quando un piccolo barcone giunse quasi a riva nel mare di Avola, quasi davanti casa mia. Era un silenzioso, tardo pomeriggio di fine estate. Sentii urla ed uno strano rumore, mi precipitai fuori insieme ad altri vicini e vidi una scena che mai avrei voluto vedere.
Forze dell'ordine e sanitari con barelle e medicamenti... un barcone sballottato dalle onde era quasi giunto a riva… sentivo il pianto di bambini.
Corremmo portando da bere pensando alle loro labbra arse e biscotti per i bambini... qualcosa di dolce per togliere un poco di tanta amarezza. Non ci fecero avvicinare ma ci sentimmo ugualmente d'aiuto, in un modo o nell'altro eravamo pronti a prestare soccorso. Penso ai miei versi di allora "Un barcone a testimonianza di anime passate, sbattuto dalle onde, muto, senza vita, ormai arenato!". Il "barcone" di Giuseppe vacilla, tanti corpi ammucchiati, più di quanti il barcone stesso possa contenere.
Il mare è un urlo, l'onda è vorace, pronta a cancellare ogni segno. Mi commuovo, sento quelle urla ed il mare calmo raffigurato sulla copertina diventa rabbioso. Avanzano onde gigantesche pronte a cancellare sogni di libertà e rinascita,sogni di una nuova vita. "Tra santi e briganti”… Tutto il mondo è paese e sono sempre i giusti a pagare per tutti. Urla e dolore, ferite e sangue... poi silenzio assoluto. È il silenzio a prestare soccorso, a rendere liberi uomini, donne e bambini, il silenzio della morte che libera "dal peso del mondo, dalle fatiche, dai mali a venire." Mai potrà scoprire Khalil la bellezza vera della vita perché gli è stato negato di vivere! Mi fermo a respirare profondamente mentre asciugo lacrime... sento dentro di me tanto dolore, come se mi appartenesse. Penso alle nostre antiche origini, penso alla storia del nostro passato, ad un passato che passato non è, vorrei gridare “Perché?” .Ora il vento sibila, sussurra un monito, entra dritto nel cuore come frecce scagliate... è alito o ira di Dio, vuole risvegliare coscienze... la coscienza di chi?
Giuro, la mia è già sveglia! Io che volevo un mondo nuovo ancora da sognare ed un mare calmo dentro cui pescare!
Complimenti Giuseppe, un tema triste, importante, attuale da trattare e tu hai saputo farlo benissimo. Sento ancora urla, sento ancora dolore ed ancora mi chiedo "dolore e morte serviranno a risvegliare coscienze?”.
Lo spero e me lo auguro per le coscienze di tutti e per un nuovo mondo.
Carmela Di Rosa
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Blu come il mare la copertina di oggi... l'immensa pianura salata.
Grazia La Gatta
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Incalzanti, impietose si susseguono in questi versi (terribili ma preziosi) immagini, figure sconciate, parole, grida, maledizioni, sogni precipitati nel silenzio dell'abisso. Nella ricerca della salvezza, hanno combattuto Scilla e Cariddi, maghe e ciclopi questi eroi-martiri del nostro tempo che solo nella morte (scrive il poeta) troveranno la libertà. Vorrei che si potesse riscrivere il finale di questo dramma, per loro e per noi. Ebbene questi eroi raggiungeranno la loro Itaca, oppure approderanno nell'isola dei Feaci, governata dai valori della xenìa, dove Nausicaa dalle bianche braccia li accoglierà e li inviterà nella reggia del padre. E ci saranno tutti, anche Khalil, "l'evanescente maghrebino, appena nato/gettato in mare dal barcone". Complimenti a Giuseppe Conte, che con originalità e in modo plastico ha tradotto in poesia episodi drammatici riuscendo ad aprire un varco nell'indifferenza che rischia di far affogare la nostra umanità.
Loredana Borghetto
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Solo l'amore ricostruisce, unisce e non discrimina. Impariamo dai bambini a vivere senza pregiudizi e senza orgoglio (a proposito di libri e versi 😉).
Scusate se mi sono prolungata, ma su temi del genere mi infervoro.
Erica Gavazzi
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Giuseppe Conte (Marius è l’eteronimo) nasce a Motta Sant’Anastasia, studia a Catania e si laurea in Lettere Classiche con una tesi sui saggi londinesi di Ugo Foscolo. Per molti anni insegna nel Liceo “Galilei” di Legnano. Dirigente scolastico si occupa di problemi connessi con il disagio di ragazzi spastici.
Autore, in età giovanile, di testi teatrali (“Lettera a Caino”, monologo, 1956; “I figli della terra”, pièce in tre atti, 1957), indirizza successivamente i suoi interessi allo sviluppo di alcuni temi della ricerca storica e della letteratura agiografica.
Pubblica: “Mocta Sanctae Anastasiae” (una storia municipale), 1979; “Oltre le colline dei Sieli” (racconti), 1984; “Epigrafia inedita” (quasi una storia scritta nel bronzo), 1989; “La fine di una baronia” (cronache di un territorio nella valle del Simeto dal sec. XVIII al 1910), 1990; “In vita e in morte di una patrizia romana”, 1991; “I garofani in collina”, 2000; “Marbrées” (poesie), 2001; “La melagrana ossia la disegualità” (memorie), 2008; “Il sogno di Eliàde” (poesie), 2010.
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LIBRI DI-VERSI IN DIVERSI LIBRI
LE RAGIONI
DEL NOSTRO CONCORSO
UNA SOCIETÀ DI POETI
Noi tutti, assieme a tanti altri, crediamo possibile una società di poeti e crediamo inoltre che la poesia sia fondamentale per pensare la vita e sognare un altro modo di vivere.
PREMI INUSUALI!
LIBRI...
L'editore Francesco Urso ha voluto riservare a ciascuno autore selezionato dalla Giuria il premio di una pubblicazione, impegnandosi a farlo, al momento del Bando del Concorso per un numero massimo di cento autori (Quarantaquattro sono stati, invece, gli autori risultati idonei nell'edizione 2018-2019).
Ogni pubblicazione avrà una differente grafica di copertina.
Nel contesto di questa logica esaltantante in sé la scrittura, l'editore ha voluto riservare ai primi tre poeti selezionati premi particolari (cento copie di un proprio libro al primo classificato, e omaggi di libri della Libreria Editrice Urso al secondo e terzo classificato).
In questo concorso vengono banditi attestati di carta di ogni tipo, pergamene, coppe, medaglie e trofei vari, così come vengono rigorosamente esclusi finanziamenti pubblici e sponsorizzazione estranee all'Editrice.
Si ringraziano quanti hanno con noi condiviso l'esperienza (giurati, poeti e chiunque faccia eco alla presente iniziativa).
Per saperne di più:
POESIA COME STORIA CHE SVELA,
CHE ABBATTE I MURI
Per il poeta, scrivere significa abbattere il muro dietro cui si nasconde qualcosa che è sempre stata lì. Così lo scrittore ceco Milan Kundera commentava in L’Arte del romanzo, scritto nel 1986, circa il compito gravoso, ingrato, faticoso.
Un percorso travagliato, quello del poeta, dannatamente infame, sia nel passato sia ancora oggi, nella nostra modernità liquida di origine baumaniana in cui viviamo. Il poeta si carica sulle spalle tale fardello con una leggiadria pazzoide, con un sorriso sempre pronto in faccia. È la pena (chi scrive, riconosce a cosa mi riferisco) che ciascun plasmatore di parole sa che dovrà prima o poi espiare. L’esigenza del poeta è quella di guardare dall’esterno con l’occhio della mente, di partorire un’intima concatenazione di suoni e di ritmi personalissimi che non sempre è pronta a donarsi, perché gelosamente custodita dal creatore, ma che inesorabilmente raggiunge prima o poi gli altri, portando a termine la stessa funzione della vocazione poetica: le molteplici possibilità umane. I poeti con i propri versi hanno aiutato l’uomo a riappropriarsi del proprio tempo, a distrarre la mente dalla velocità o dal correre che non aiutano affatto il pensare, ad abbattere i muri dell’ovvio, dello scontato, dell’omologazione ormai generale e universale, ma soprattutto, delle mentalità astruse che ci circondano quotidianamente.
È capitato ai poeti di ogni epoca di aver conosciuto la solitudine, fin nella terra natia, dove è quasi impossibile che si rimanga da soli come una sorta di esiliati; i nuovi mezzi di comunicazione, e soprattutto i social, hanno permesso sicuramente di accorciare le distanze, di aprire impensabili brecce su numerosi muri delle resistenze più ostili, di bypassare le terre bruciate degli invidiosi presenti in ogni luogo e contesto, di conoscere nuove anime poetiche sia ai poeti sia all’uomo comune.
Perché è grazie a tutti i 56 partecipanti di questa ottava edizione del Concorso letterario Libri di-versi in diversi libri, dedicata alla memoria della poetessa Maria Pia Vido, e di tutti i partecipanti delle sette precedenti edizioni che è stato possibile creare e ricreare quel clima di grande famiglia poetica, sparsa in tutta Italia e anche all’estero, che si ricongiunge ogni anno per esaltare la poesia in corrispondenza della giornata mondiale della Poesia.
Un’idea nata nel 2011 nella fucina culturale della Libreria Editrice Urso di Avola in cui io stesso sono nato, vissuto, cresciuto. Fin da subito, dal 2011, a fianco di mio padre, Ciccio Urso, e di mia madre, Liliana Calabrese, ho contribuito come potevo alla realizzazione: come aiuto tuttofare, come fotografo, poi nel difficile compito del giurato per un paio di edizioni, adesso come presidente di Giuria. Voglio approfittarne anche per ringraziare tutta la giuria che ha operato con grande professionalità e onestà intellettuale e morale in questa edizione e che è stata composta da: Bono Corrado, Borghetto Loredana, Calabrese Liliana, Causi Antonino, Di Rosa Carmela, Ficara Luigi, Forte Maria Antonia, Muccio Antonino, Parisi Vera, Politino Fausto, Restuccia Maria, Urso Lilia, con, in aggiunta, i poeti vincitori delle sette precedenti edizioni, Magi Manuela, Catalano Giovanni, Quartu Maria Chiara, Vizzini Pietro, Esposito Nina, Carlo Sorgia e Liliana Moreal.
Un evento poetico che, anno dopo anno, aggiunge nuove e indelebili emozioni in tutti i nostri cuori, che permette di (ri)scrivere e svelare nuove e bellissime storie di poesia.
Marco Urso
Presidente della Giuria
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